Elezioni Iran, il secondo turno conferma i pro-Rohani
Moderati e riformatori vincono le elezioni politiche in Iran. Per la prima volta dal 2004, l’Assemblea non sarà più dominata dai conservatori. Una conferma per Rohani.
I riformatori e i moderati vincono la partita. Arrivano primi al secondo turno delle elezioni politiche che si sono svolte la settimana scorsa in Iran, solo un terzo posto per i conservatori. Dovrebbero riuscire a formare senza difficoltà un gruppo parlamentare di peso per il sostegno della politica di apertura del Presidente Hassan Rohani. Secondo i risultati pubblicati dai media di Teheran, compresi quelli più conservatori, la lista “Speranza” formata da riformatori e moderati avrebbe vinto più di una trentina dei 68 seggi che erano in gioco sui 290 del Parlamento. E’ la prima volta dal 2004 che l’Assemblea non sarà dominata dai conservatori e che le due fazioni politiche iraniane verranno rappresentate in modo equilibrato. I poteri del Parlamento sono limitati rispetto ad altre istituzioni del regime iraniano come il Consiglio dei Guardiani della Costituzione, in parte composta da religiosi nominati dalla Guida Suprema, Ali Khamenei. Ma, a un anno dalle elezioni presidenziali alle quali Rohani dovrebbe presentarsi per un secondo mandato di quattro anni, questi risultati non possono che rappresentare una vittoria personale del Presidente.
Dal 2013, Rohani ha portato avanti una politica di riavvicinamento con l’estero che ha avuto il suo apice con la conclusione, nel Luglio del 2015, dello storico accordo sul programma nucleare iraniano siglato con le grandi potenze. Secondo il Ministero degli Interni iraniano, riformatori e moderati hanno ottenuto 38 seggi, contro i 18 dei conservatori. Dodici seggi sono andati agli indipendenti. Aggiungendo a questi i 95 già vinti lo scorso 26 Febbraio al primo turno, i pro-Rohani costituiscono oggi il gruppo più importante. Anche se non hanno ottenuto la maggioranza assoluta, 146 seggi, il gruppo potrà contare su alcuni conservatori pragmatici più concilianti – i più radicali tra loro, contrari alla politica di apertura del presidente, sono stati eliminati dai giochi già al primo turno. Al primo turno dello scorso febbraio, erano stati eletti 221 deputati. Tra loro 103 conservatori , 95 rifomatori-moderati e 14 indipendenti dall’orientamento politico non ben definito. Tra gli eletti de primo turno anche quatto conservatori moderati appoggiati dai riformatori e cinque rappresentanti delle minoranze religiose (ebrei, armeni, assiri e zoroastri). Una nota poco chiara e l’invalidamento dell’elezione di una deputata riformatrice ad Ispahan: ci sarà una elezione parziale non si sa bene quando.
Quattro donne hanno vinto in questo turno. Vanno ad aggiungersi alle 13 elette a Febbraio. In totale, saranno 17 le donne che siederanno in Parlamento, tra loro almeno una quindicina di riformatrici. Nove erano le deputate presenti nella passata Assemblea, tutte conservatrici. Per la prima volta dalla rivoluzione islamica del 1979 in Parlamento entrano tante donne. La nuova Assemblea si riunirà a fine Maggio per eleggere il suo capo. Il Presidente uscente, Ali Larijani, conservatore moderato, e il capogruppo dei riformatori e moderati, Mohammad Reza Aref sono i due contendenti favoriti. Contrariamente ai più radicali del suo campo, Ali Larijani ha difeso l’accordo del 14 Luglio sul nucleare concluso tra Teheran e le grandi potenze (Stati Uniti, Russia, Cina, Francia, Gran Bretagna e Germania). Il secondo turno delle politiche è avvenuto pochi mesi dopo l’entrata in vigore di questo accordo e la fine di gran parte delle sanzioni internazionali contro Teheran. Ma, in assenza di risultati economici concreti che avrebbero dovuto farsi sentire grazie alla nuova situazione, l’esasperazione comincia a farsi sentire in Iran. Rohani conta proprio sulle conseguenze di questo accordo per vedere cominciare a calare la disoccupazione che tocca l’11% della popolazione attiva, più del 25% di giovani.
L’Ayatollah Ali Khamenei, l’uomo forte del Paese che ha in mano i grandi dossier nazionali e internazionali, ha recentemente sottolineato che l’Iran aveva ora bisogno di risultati “tangibili”. Ha accusato il “nemico” storico, gli Stati Uniti, di fare pressione sui Paesi Europei per impedire all’Iran di poter beneficiare veramente dell’accordo, incitando i suoi compatrioti a privilegiare “l’economia di resistenza”, incentrata sull’economia nazionale. In effetti, anche se per motivi diversi, la messa in pratica dell’accordo nucleare iraniano non è così semplice. L’accordo viene applicato alla lettera, come testimoniano i rapporti dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica. Dall’entrata in vigore, nel Gennaio scorso, del Piano di azione congiunto, l’Iran ha registrato interessanti sviluppi economici, anche se non dall’ampiezza sperata. L’inflazione è calata, l’Iran ha potuto estrarre 1 milione 650 barili di petrolio al giorno contro il milione precedente, riprendersi parte del mercato, rientrare nel sistema SWIFT di pagamenti bancari. La fine delle sanzioni economiche ha avuto come primo risultato la parziale restituzione di beni iraniani congelati negli Stati Uniti, ossia 3 miliardi di dollari su di un totale di 55. Andando oltre le disposizioni dell’accordo, gli americani hanno autorizzato l’esportazione verso l’Iran di aerei commerciali e pezzi di ricambio.
Ma due problemi di non poco peso rimango in piedi da entrambi le parti: gli iraniani ritengono che alcune sanzioni americane, volute da Clinton e ancora attive, frenano le banche americane e europee nel finanziare l’economia iraniana e gli scambi ai quali aspira. In effetti un passato di riciclaggio e penali da pagare per aver violato le sanzioni contro l’Iran le rende poco inclini a prendere dei rischi e il loro reinserimento nel sistema bancario iraniano avanza con molta prudenza. Da parte occidentale, gli esperimenti balistici iraniani che potenzialmente potrebbero portare cariche nucleari vengono giudicati incompatibili con lo spirito dell’accordo sul nucleare e le risoluzioni specifiche del Consiglio di Sicurezza. Se è vero che nell’accordo non c’è nessuna clausola relativa ai missili, che hanno un valore puramente difensivo per l’Iran, il programma d difesa è gestito dai Guardiani della Rivoluzione, che sfuggono al controllo del Governo e sono in contrasto con la politica di apertura di Rohani. Andando oltre la provocazione , i Guardiani hanno dichiarato che gli esperimenti dovevano servire ad eliminare il nemico sionista.
Nonostante gli ostacoli e le difficoltà la volontà di cambiare il Paese è sempre più salda. Il compito non è facile, né per gli iraniani, ma neanche per noi. In un Paese dove le autorità religiose tentano di limitare al massimo l’emergere della cultura “occidentale”, l’opera di apertura del Presidente Rohani è da apprezzare in un Paese rimasto a lungo chiuso al Mondo. Apertura non vuol dire assorbimento totale di un’altra cultura, ma farla convivere con la propria. Pochi giorni fa in un discorso quasi offensivo, ma sicuramente progressista, il Presidente ha mostrato ancora una volta il suo disaccordo con la Guida Suprema : “il nostro compito principale e di preservare la dignità delle persone, così come la loro personalità. Dio ha concesso la dignità a tutti gli esseri umani e questa dignità precede la religione”. Non sono parole di poco conto in un Paese dove i Diritti Umani non sempre vengono difesi. “Speranza”, nome più adatto non poteva essere scelto dal gruppo vincitore di queste elezioni.