Cronache dai Palazzi
Occhi puntati sul referendum costituzionale d’autunno e attenzione deviata dalle prossime elezioni amministrative di giugno. Anche dal G7 il premier Renzi ribatte che l’Italicum non si tocca, alludendo magari ad un eventuale baratto per il “No” al referendum. All’interno del Partito democratico, in particolare, si individuano chiaramente il fronte del Sì e il fronte del No alla riforma Renzi-Boschi e si ragiona facendo previsioni a proposito dell’esito del referendum di ottobre. Si voterà molto probabilmente domenica 2 ottobre, mentre proprio martedì 4 ottobre è convocata la Consulta per discutere eventuali profili di incostituzionalità dell’Italicum definiti non necessariamente infondati dal tribunale di Messina.
All’interno del Pd si discute inoltre ampiamente di nuova legge elettorale e quindi di Italicum: doppio turno, 100 collegi, capilista bloccati e ampio premio di maggioranza al primo partito. Si moltiplicano le tensioni e anche l’ex segretario Pier Luigi Bersani, che ha votato a favore della riforma elettorale in Aula, svela la condizione per ottenere il Sì alla riforma costituzionale: “Suggerisco che venga dichiarata la disponibilità, una volta approvata la riforma, a rivedere l’Italicum”. Ma il vicesegretario Lorenzo Guerini è categorico rispetto a qualsiasi modifica dell’Italicum: “Non è all’ordine del giorno. Il Parlamento ha approvato una legge elettorale su cui non ci sono le condizioni per una discussione diversa”.
Dal fronte di opposizione interna anche Massimo D’Alema incalza su un eventuale modifica della nuova legge elettorale facendo una radiografia dei possibili effetti dell’Italicum: “Se si va a un sistema in cui più della metà dei deputati saranno nominati dai capi dei partiti e i senatori saranno nominati dai Consigli regionali, ai cittadini cosa rimane da fare? Giocare a briscola?” Intanto i fronti per il Sì e per il No divampano in tutta Italia e si cercano ‘testimonial’ di rilievo per comunicare l’una o l’altra presa di posizione. A Torino, ad esempio, il fronte del No è sostenuto da una personalità di spicco come il professor Gustavo Zagrebelsky come il Comitato famiglie, già contrario alle unioni civili. Più difficile appare il reclutamento di ‘testimonial’ a favore del Sì in grado di sostenere e divulgare i contenuti della riforma che il Pd di Renzi considera una bandiera.
“Avanti con le riforme” anche per il neopresidente degli industriali Vincenzo Boccia che comunque ammonisce: “La ripresa non c’è ancora, e l’economia è in risalita modesta”. Di fondamentale importanza “meno tasse sul lavoro”. Per di più la produttività deve essere incrementata per assicurare “salari più elevati”. A proposito di riforma costituzionale, invece, Boccia sottolinea che “è da sei anni che chiediamo modifiche della Carta”.
“Noi vogliamo partecipare alla vita del Paese con idee e proposte – ha detto il presidente di Confindustria -, vogliamo sentirci parte di una grande comunità. Vogliamo combattere il senso di ansietà e di assuefazione, contribuendo a rilanciare il Paese”. In particolare “Confindustria si batte fin dal 2010 per superare il bicameralismo perfetto e riformare il Titolo V della Costituzione. Con soddisfazione – ha affermato Boccia – vediamo questo traguardo a portata di mano. La nostra posizione e le conseguenti azioni sul referendum verranno decise nel Consiglio generale convocato il 23 giugno”. Il governo Renzi riceve quindi l’assist pro riforme degli industriali con i ministri Delrio, Poletti e Franceschini presenti in sala nell’Auditorium di Viale dell’Astronomia. Dario Franceschini, nello specifico, ha sottolineato che “la cultura è impresa”.
Fuori dall’Auditorium imperversano ovviamente le critiche delle opposizioni. Renato Brunetta, capogruppo di Forza Italia a Montecitorio commenta ad esempio il sì di Confindustria al governo Renzi facendo una fotografia degli schieramenti: “Da una parte, per il ‘sì’, il mondo del capitale, della finanza, dei poteri forti, dall’altra, per il ‘no’, il mondo dei colletti blu, delle piccole imprese, degli artigiani e commercianti, il ceto medio che è contro Renzi e sta con noi”.
Gli industriali non chiedono “né favori né scambi”, ha sottolineato Boccia, che ha manifestato soddisfazione anche sul fisco dichiarando che la riduzione dell’Ires al 24% a partire dal 2017 “è ottima”. Una politica di bilancio meno restrittiva in Europa, infine, “lo si deve all’azione dei governi, soprattutto quello in carica”. Confindustria auspica inoltre anche una riapertura del dialogo con i sindacati affinché riscrivano le regole della contrattazione e considerando “come bussola lo scambio salario/produttività”. La risposta dei sindacati arriva prima del previsto e Susanna Camusso, leader di Cgil, boccia “la relazione tra salario e produttività” in quanto ancorata ad “una visione vecchia”. Il segretario generale della Cisl, Annamaria Furlan, auspica invece un confronto. Sul tavolo anche altri fattori più legati all’Europa come Brexit, la chiusura delle frontiere a proposito di immigrazione e i rischi connessi ai movimenti nazionalisti che imperversano nel Vecchi Continente.
A proposito di Europa, la Commissione europea ha deciso di alleviare il calcolo del deficit strutturale nei confronti dell’Italia studiando delle modifiche per sostenere i conti pubblici. Modifiche richieste dal nostro Paese e da altri otto Paesi Ue per porre fine a “una fortissima distorsione che penalizza l’Italia”, ha affermato in Parlamento il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. In realtà le modifiche apportate da Bruxelles sono di lieve entità, per la precisione l’effetto sul deficit strutturale sarebbe di 0,05 punti di Pil, circa 800 milioni di euro. Nello studio diffuso dall’esecutivo si legge che “la valutazione della posizione italiana non subirebbe cambiamenti significativi adottando un orizzonte temporale differente”. Orizzonte che sarebbe di quattro anni e non più di due. La Commissione europea avrebbe in pratica deciso di modificare il calcolo del cosiddetto “output gap” – ossia la differenza tra la crescita reale di un Paese e il suo potenziale – parametro essenziale per valutare un Paese membro. Un “output gap” negativo giustificherebbe un rallentamento dei tempi per raggiungere gli obiettivi, anche se in realtà si tratterebbe di una grandezza fittizia che nella pratica non esiste, basandosi in effetti su previsioni molto spesso disattese.
Un Commento
Il fatto che quelle meretrici di Babilonia di Confindustria invitino a votare SI dovrebbe aprire gli occhi degli Italiani sulla necessità di votare NO contro questa porcata di riforma costituzionale fatta da gente che nessuno ha eletto.