La guerra all’ISIS
Le notizie che vengono dal fronte mediorientale sono nell’insieme confortanti. Le controffensive in atto contro la jihad dell’ISIS da parte delle forze irachene e curde, appoggiate dalle Forze Speciali americane, sembrano dare buoni risultati. L’assalto a Falluja è in atto. Anche l’esercito siriano si è mosso riconquistando Palmyra ed è legittimo pensare che presto o tardi la “capitale” del Califfato, Rakka, cadrà.
L’ISIS, dunque, appare in ritirata e si susseguono le voci piú diverse, tra cui quella secondo cui i suoi capi sarebbero in fuga e starebbero decimando le proprie stesse truppe. Attenti però a non gridare troppo presto vittoria. La battaglia non è ancora finita, l’ISIS cercherà di raggrupparsi in qualche parte del territorio mediorientale fuori di controllo e alimenterà gli attacchi terroristici, che sono la risorsa dei vigliacchi quando non riescono a vincere sul campo di battaglia. E le complicazioni sono sempre dietro l’uscio: Erdogan critica l’appoggio statunitense ai combattenti curdi. Ma allora mandi il suo esercito a combattere la jihad e si faccia perdonare di averla per vario tempo sotterraneamente appoggiata. Resta poi ancora tutta da definire la questione dei rapporti tra Occidente, Russia e Iran in quella zona. Naturalmente, a un vecchio “atlantico” come me piacerebbe vedere quella zona libera dalla presenza politica e militare di Mosca e di Teheran, ma credo sia irrealistico proporselo. Un qualche compromessi andrà trovato, sempre che la Russia putiniana e l’Iran di Rohani si impegnino davvero a svolgere in quell’area una ruolo costruttivo e responsabile.
Se sul fronte mediorientale le cose vanno nella buona direzione, non mi pare che lo stesso stia accadendo in Libia. Va preso nota della smentita dell’invio di 5.000 soldati italiani, ripetuta nuovamente dal Presidente del Consiglio. Credo sia una posizione prudente e saggia. Mi chiedo però quanto tempo ancora dovrà passare e quanti sforzi diplomatici dovranno essere ancora esperiti, prima che l’Occidente (e per Occidente intendo soprattutto la NATO) si assuma le sue responsabilità in appoggio alle legittime autorità libiche, per aiutarle a riprendere il pieno controllo su tutto il loro territorio. Non sono vicende lontane e irrilevanti: ogni giorno che passa, dalle coste libiche (ora soprattutto dalla zona di Sabrata, che conosco bene) partono le tragiche barche cariche di rifugiati destinati o a perire in mare o ad affollare ii nostri centri di accoglienza, già al limite delle loro capacità. Lasciamo perdere la barbarie salviniana, ma decidiamoci a fare sul serio, noi e i nostri alleati, per arginare questo flusso, tagliando alle radici la situazione di guerra civile che lo genera. Altrimenti faremo solo retorica, di destra o di sinistra, e i diseredati della Terra continueranno a trovare nel nostro Mediterraneo la loro tomba.
In questo contesto, come non gridare la nostra ammirazione per l’opera quotidiana di tanti uomini e donne della nostra Marina Militare, della Guardia Costiera e dei centri di accoglienza, che lavorano con estrema abnegazione per salvare e proteggere vite umane? L’Italia ha fatto e sta facendo più di chiunque altro in questo campo. Ricordiamo che l’operazione ”Sofia” vede, essa sola, impegnate la nostra portaerei Cavour e quattro fregate. A questi uomini e donne spetterebbe di diritto il Premio Nobel per la Pace. E mi dispiace che Papa Francesco, così attento a difendere la causa degli immigrati e, in generale, i diritti umani, non trovi il modo per menzionare ed elogiare questo sforzo. Che a noi costa soldi e a tanti uomini e donne delle nostre istituzioni costa sudore e fatica.