La Repubblica ha settant’anni

Il 2 giugno del 1946 non avevo ancora 11 anni ma, grazie all’impegno in politica di mio padre, liberale e primo Sindaco eletto della nostra città, Andria, vivevo gli avvenimenti pubblici con partecipazione e passione superiori alla mia età. La mia famiglia, com’era naturale per l’epoca, il luogo e il suo profilo sociale, era monarchica. Ricordo i comizi di mio padre durante la campagna referendaria. Li chiudeva sempre con i versi carducciani: “Bianca Croce di Savoia/ Nostro onore e nostra gioia/ Dio ti salvi e salvi il Re!”. La Repubblica ci pareva allora una cosa aliena, terribile, la fine del nostro modo di essere,  anzi la fine del mondo, sapeva di Rivoluzione Francese, di vento del Nord e di bolscevismo. Ricordo bene i giorni del voto, le notizie contrastanti, dapprima pronosticanti la vittoria della Monarchia poi, in modo sempre più chiaro, quella della Repubblica. Su di noi calò come una cappa di piombo. Poi ci furono i giorni convulsi fino al 10 giugno,  l’illusione di una possibile resistenza, troncata dalla proclamazione dei risultati, e subito dopo la partenza di Umberto II per l’esiilio: quell’immagine patetica del Sovrano incolpevole che salutava, sorridendo imbarazzato, il cappelluccio floscio in mano, dalla scaletta dell’aereo che lo avrebbe portato via per sempre. Per sempre, quanta parte di noi se ne andava con lui.

Un fatto però attenuò e poi cancellò il clima di angoscia: le elezioni politiche le aveva vinte la Democrazia Cristiana, al governo ci andava Alcide De Gasperi, dietro di lui si intuivano la figura austera di Pio XII e tutta la forza rassicurante degli Stati Uniti. Al Quirinale salì un gentiluomo  napoletano dichiaratamente monarchico, Enrico De Nicola, poi gli successe un galantuomo piemontese e liberale della vecchia scuola, Luigi Einaudi. E in seguito una serie di Presidenti , da Giovanni Gronchi ad Antonio Segni, da Giuseppe Saragat a Giovanni Leone e a Sandro Pertini, da Francesco Cossiga a Oscar Luigi Scalfaro, da Carlo Azeglio Ciampi a Giorgio Napolitano ed ora a Sergio Mattarella, nessuno dei quali ha fatto rimpiangere una Monarchia scaduta di prestigio anche per il comportamento di alcuni suoi rappresentanti. Nelle elezioni del 1948, la DC e i suoi alleati confermarono e ampliarono la loro vittoria, firmammo il Patto Atlantico. Ci sentivamo su una sponda sicura, senza che neppure ce ne accorgessimo, o ci pensassimo, ci riconciliammo con la Repubblica, ci parve una condizione normale e accettabile, se chi stava realmente al timone era gente di cui fidarsi, veri democratici e uomini dell’Occidente.

Quanto tempo è passato da allora! La DC non esiste più, non esiste più il suo antagonista, il PCI. Chi non ha vissuto quell’epoca non sa, non può sapere, quanto contava la sicurezza di continuità.  La sensazione che non vi sarebbero stati cambiamenti epocali e traumatici, che dava la Democrazia Cristiana, che sollievo quando, di elezione in elezione, conservava il governo del Paese. E pochi si degnano di ricordare che debito abbia il Paese verso quegli uomini e quelle donne, democratici fino in fondo al di là dei loro difetti umani, ai quali deve decenni di libertà, di sviluppo economico e sociale.

La mia vita di adolescente, poi di adulto e di uomo maturo, coincide con la storia di questa nostra Repubblica ed è stata forgiata, più di quanto io stesso mi renda conto, dai suoi  valori. A 22 anni ho giurato di esserle fedele e di rispettarne e difendere la Costituzione. Se mi guado allo specchio, mi dico di non essere mai venuto meno a quel giuramento.

Perciò vorrei dire ai più giovani, a quelli che non hanno vissute né le ansie né gli entusiasmi della democrazia ritrovata, del dopoguerra, della crescita: teniamocela cara questa Repubblica, con tutti i suoi difetti, che sono difetti non del sistema ma degli uomini che via via lo incarnano. Difendiamo le sue conquiste civili, la libertà di espressione, la democrazia politica, l’eguaglianza dei sessi (quest’anno si compiono anche 70 anni dallo storico voto alle donne), i diritti civili sempre più estesi, l’appartenenza irreversibile all’Europa e all’Occidente. Non permettiamo che ce li espropri nessun pifferaio ,nessun populista di destra o di sinistra. Nessuno di quelli che, ammantandosi indebitamente in  una bandiera di cui non hanno l’esclusiva (molti di loro l’hanno in passato vilipesa e non sono sicuro che l’amino veramente) vorrebbe farci tornare indietro a un passato oscuro di razzismo e di guerra.

©Futuro Europa®

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