La pazza gioia (Film, 2016)

Paolo Virzì e Francesca Archibugi sceneggiano quasi due ore di pellicola per raccontare la malattia mentale (al femminile), cercando di superare i toni tragici di Pasquale Festa Campanile (La ragazza di Trieste) e di Mauro Bolognini (Per le antiche scale), ma rischiando di restare fuori sintonia, in una zona grigia che non può dirsi commedia ma neppure dramma, quanto informe e irrisolto tentativo. Responsabilità di Virzì, regista più a suo agio con piccole storie di provincia, o di un’Archibugi troppo votata al cinema sociale, politico e programmatico? Non è facile dirlo. Di sicuro manca la mano ispirata di Francesco Bruni, ché i migliori film girati da Virzì sono frutto della loro felice collaborazione.

Un film on the road, girato in Toscana, da Montecatini a Viareggio, passando per le spiagge della Versilia, fino a Livorno, toccando le colline pistoiesi, tra comunità di recupero, ospedali, discoteche e poetici esterni ben fotografati. Tecnica di regia diversa dal Virzì che conosciamo, riprese sghembe, rapide inquadrature, esterni con immagini confuse e la follia delle protagoniste evidenziata da nervosi primi piani, flashback sul passato e rapide sequenze oniriche. Le due protagoniste interpretano a dovere la loro follia di coppia unita pure se male amalgamata, composta da una silenziosa quanto trucida depressa cronica (Ramazzotti) e da una nobile decaduta logorroica (Bruni Tedeschi). Si ricorda con piacere la parte finale, che fa venire alla memoria il vecchio lacrima movie, con un bel monologo a base di ricordi recitato da Micaela Ramazzotti e rapide dissolvenze che inquadrano la lucida follia della Bruni Tedeschi. Suggestivo quanto irreale l’incontro tra madre e figlio sulla spiaggia di Viareggio dopo un incidente stradale, prima del ritorno in comunità a conclusione di fughe e scorribande. Non tutto torna a livello di sceneggiatura, molte parti restano irrisolte, certe soluzioni sono poco condivisibili, altre talmente facili da risultare scontate.

Farei molta attenzione a dire (come fa parte della critica) che a Virzì l’operazione di coniugare dramma e commedia – di per sé complessa – è riuscita da maestro. A nostro parere La pazza gioia è un prodotto ibrido, indeciso, che a tratti lascia sconcertati, spesso imbarazza, raramente strappa un sorriso, in poche sequenze fa spuntare una lacrima. La sola battuta memorabile la pronuncia Bruni Tedeschi quando Micaela Ramazzotti mostra un tatuaggio per ricordare un nome e lei risponde: “Però comprati un quadernino, secondo me è meglio!”. Momenti di quasi farsa che stonano alla grande con altre parti pesantemente drammatiche: il tentato suicidio-omicidio di madre e figlio sul ponte di Calafuria, i sentimenti autodistruttivi di Donatella, la voglia forte di rivedere il figlio perduto e d’inventarsi un padre come modello, la follia logorroica di Beatrice, la tenerezza del loro rapporto e la resa finale. Musica interessante di Carlo Virzì con due pezzi storici di Fabrizio De Andrè (La buona novella) e Gino Paoli (Senza fine). Molti amici livornesi del regista regalano un cameo, da Bobo Rondelli a Valerio Marmugi, per finire con Simone Lenzi. Da vedere, ma senza troppe aspettative.

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Regia: Paolo Virzì. Fotografia: Vladan Radovic. Soggetto: Paolo Virzì. Sceneggiatura: Paolo Virzì, Francesca Archibugi. Montaggio: Cecilia Zanuso. Scenografia: Tonino Zera. Costumi: Catia Dottori. Musica: Carlo Virzì. Produzione: Marco Belardi. Genere: Commedia (?). Durata: 118’. Interpreti: Valeria Bruni Tedeschi (Beatrice Valdirana), Micaela Ramazzotti (Donatella Morelli), Valentina Carnelutti (Fiamma Zappa), Tommaso Ragno (Giorgio Lorenzini), Bob Messini (Giorgio Aitiani), Sergio Albelli (Torrigiani), Anna Galiena (Luciana Brogi), Marisa Borini (signora Morandini Valdirana), Marco Messeri (Floriano Morelli), Bobo Rondelli (Renato Corsi).

©Futuro Europa®

[NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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