La tornata elettorale

Andrea de Cillis ha già commentato a caldo, su queste colonne, i risultati delle amministrative di domenica scorsa e lo ha fatto con grande intelligenza ed equilibrio. Ho poco da aggiungere alla sua analisi, se non qualche osservazione: la prima, ovvia, è che il risultato vero, ai fini politici e pratici, per la gestione delle nostre città, emergerà solo dai ballottaggi. Importantissimi, perché in sostanza aperti, quelli di Milano, Torino e Bologna. Lo avevo scritto a proprosito delle elezioni locali in Francia, ed ebbi ragione, giacché il risultato finale ridimensionó l’avanzata del FN, che non vinse da nessuna parte. Solo i ballottaggi  potranno dare il senso esatto della rispettiva forza dei partiti in campo, una volta eliminate liste civiche e varianti di vario tipo che al primo turno complicano il quadro. Ciò è molto importante, perché la legge elettorle in vigore, l’Italicum, prevede proprio questo: un ballottaggio tra i due primi arrivati.

Per questo sarebbe importante disporre delle percentuali nazionali dei vari partiti: sui 13 milioni e più di elettori, che rappresentano una fetta rappresentativa dell’elettorato, chi ha avuto più voti? Il PD? Il Centro-Destra? La Lega? Vorrei proprio che il Ministero dell’Interno fornisse questo dato o qualche solerte giornaliste se ne facesse carico. Credo  che ilo PD resti il partito maggiore, con uno “zoccolo duro” importante. Ma chi è il suo più verosimile avversario in caso di ballottaggio alle politiche? Il centro-destra? I 5 stelle? Peronalmente mi auguro che sia un centro-destra moderato, ma se non si procede nei prossimi mesi a una sua ricomposizione, se non dirimono i nodi del programma europeo e del leader, si ripeterà il caso di Roma. Dove Berlusconi ha provocato la sconfitta, rifiutandosi di appoggiare la Meloni, che con i voti di FI avrebbe potuto andare al ballottaggio (altrimenti, pensare che il 9,8 di Marchini sia tutto suo, porterebbe alla conclusione che nella Capitale FI si è dileguata). Perché lo ha fatto? La Meloni parla di un “aiutino” a Renzi. Altri pensano che Berlusconi non abbia voluto avallare una leadership di Salvini. Sono misteri che francamente ho difficoltà a decifrare.

La seconda considerazione è che la vittoria della Raggi a Roma, largamente prevista, è in gran parte spiegabile con fattori locali, cioè la pessima gestione di Alemanno prima e di Marino poi. In una Città piagata dalla corruzione e dal malaffare, chi si presenta con una faccia pulita e un programma di onestà ha ovviamente grandi chances. Grillo l’ha aiutata evitando di apparire in prima persona, specie nel comizio finale. Inoltre, il candidato del PD, Giachetti, persona senz’altro perbene, non aveva francamente il carisma e l’appeal necessari. Il suo risultato è effettivamente quasi miracoloso, ma non penso servirà a rimontare uno svantaggio di dieci punti, tanto più che, salvo le sparutissime schiere di Fassina, non vedo dove possa attingere altri voti il candidato del PD. Se la Raggi vincerà al ballottaggio, come mi sembra probabile, sarà una grande sfida per lei e per il Movimento: per la prima volta dovranno dimostrare di cosa sono capaci in una città grande e difficile.

La terza considerazione è il risultato ridicolo della sinistra estrema: a Roma, Fassina ha raccolto una percentuale “da prefisso telefonico”. Naturalmente si è affrettato a trovare mille scuse, tranne l’unica vera: la gente non vuol più saperne dei piagnistei e dell’opposizione a tutto.

Conseguenze sul Governo? Renzi ha avuto l’onestà (e la novità) di dichiararsi insoddisfatto. Ha ragione. Ma aveva avuto già cura di mettere l’Esecutivo al riparo, sottolineando il carattere locale e non nazionale delle Amministrative. Tutti sappiamo che la partita vera si giocherà a ottobre. È da pensare che Renzi e il Governo ce la metteranno tutta per vincerla e i loro numerosi avversari per fargliela perdere. Ma su questo, a suo tempo.

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