Costa d’Avorio, Simone Gbagbo sotto processo
Il processo dell’ex First Lady della Costa d’Avorio, Simone Gbagbo, accusata di crimini contro l’umanità, si è aperto la scorsa settimana ad Abidjan. Un’attivista politica che si è costruita una reputazione di grande durezza diventando l’influente moglie del Presidente Laurent Gbagbo.
Senza più alcun sfarzo intorno a lei, la “Regina d’Africa” deve affrontare i suoi giudici davanti all’assise di Abidjan. La “Lady di Ferro” della Costa d’Avorio, accusata di “crimini contro l’umanità”, “crimini contro i prigionieri di guerra” e “crimini contro le popolazioni civili”, dovrà dare molte spiegazioni sul suo ruolo nella crisi post-elettorale che ha insanguinato il suo Paese dal Novembre del 2010 all’Aprile del 2011. L’ex First Lady, oggi sessantaseienne, rischia il carcere a vita. E’ ritenuta responsabile di aver dato inizio alle violenze contro il campo di Alassane Ouattara, il rivale politico di suo marito, che hanno causato, in soli cinque mesi, la morte di 3000 persone.
A quell’epoca, suo marito, Laurent Gbagbo, aveva rifiutato di riconoscere la vittoria di Ouattara alle presidenziali. “Dio ha dato la vittoria a Laurent”, aveva sentenziato Simone Gbagbo, fervente cristiana evangelica, mettendo così benzina sul fuoco all’indomani del secondo turno. Nella stessa occasione aveva definito Alassane Ouattara “capo dei banditi”, con un registro di linguaggio senza freni del quale si faceva spesso vanto. Cinque mesi dopo, l’11 Aprile del 2011, era apparsa sugli schermi del mondo intero nel momento del movimentato arresto di suo marito ormai incarcerato all’Aja. Lo sguardo spaurito, i tratti tirati e i capelli arruffati, avevano preso il posto dell’arroganza e della spavalderia. Una fine regno impietosa per questa donna ivoriana dalla grande forza, tanto temuta quanto adorata in Costa d’Avorio, dopo più di dieci anni di potere assoluto.
Lontana dall’immagine di First Lady che cammina all’ombra del marito, Simone Gabgbo ha sempre rivendicato la sua indipendenza. Durante gli anni di potere, è più un’alleata politica di Laurent Gabgbo che sua moglie, con il quale non condivide il talamo nuziale. L’ex Presidente ha tra l’altro sposato un’altra donna qualche anno fa. “La mia posizione la devo al mio percorso politico, non a mio marito”, affermava con convinzione ai tempi della presidenza del marito. Nata nel 1949 da un padre poliziotto in una famiglia di 18 figli, si appassiona molto presto al sindacalismo, l’impegno politico e al marxismo. Virulenta oppositrice del “Vecchio”, soprannome dell’ex Presidente Felix Houphouet-Boigny, viene più volte arrestata e messa in prigione negli anni ’70 e ’90 per aver criticato pubblicamente il potere. Nel 1982, la sua feroce opposizione al potere la porta a fondare clandestinamente con il suo “compagno” Laurent Gabgbo quello che diventerà il Fronte Popolare Ivoriano (FPI, sinistra), per la quale sarà deputata nel 1995. Sette anni dopo, il 19 Gennaio del 1989, si sposa, in seconde nozze, il futuro Presidente, sul quale ha grandi aspettative politiche. Una persona a loro vicina afferma che appena lo ha conosciuto avrebbe detto: “sarà re e io sarò la sua regina”.
Una coppia politica dalla strategia ben rodata e unica. In effetti non esiste in Africa alcun caso di capi di stato che hanno governato in duo. In Costa d’Avorio tra il 2000 e il 2011 regnavano due capi, e la cosa incredibile è che non entreranno mai in competizione. Al contrario, erano perfettamente complementari. Su di un numero di Jeune Afrique del 2012 si legge: “lui è un uccello notturno, lei si sveglia con le prime luci dell’alba. Lui ama le sinuosità, smussa gli angoli, si preoccupa per la sua immagine e ha bisogno di sedurre, le non si imbarazza mai e va dritta all’obbiettivo”. Per quanto riguarda il carisma, “Simone” o “Maman”, come la chiamavano i suoi ammiratori, non ha nulla da invidiare a Laurent. E’ sicura di sé, autoritaria.” “Troppo intelligente per essere una donna” arriva ad affermare il giornalista francese Vincent Hugeux in un interessante libro pubblicato nel 2014 sulle “Regine d’Africa”. Così ha un grande peso sulle decisioni politiche. Quando scoppia la ribellione del Nord, nel 2002, Simone Gabgbo difende suo marito, denuncia la “sedizione” e la partizione del Paese e sarà – più o meno pubblicamente – ostile agli accordi di pace che seguirono. Soprattutto, questa madre di cinque figlie, di cui due di Laurent Gabgbo, è stata spesso accusata di essere legata agli “squadroni della morte” lanciati contro i partigiani di Alassane Ouattara, che ha sempre ripudiato.
La moglie dell’ex Presidente Laurent Gabgbo è oggi in carcere ad Abidjan. Nel 2015, è stata condannata dalla giustizia del suo Paese a 20 anni di prigione per “attentato alla sicurezza dello Stato”, dopo un processo durante il quale si è contraddistinta per sarcasmo e padronanza del dossier sul suo caso. “Ho subito umiliazione su umiliazione durante il processo. Ma sono pronta a perdonare. Perché se non si perdona, questo Paese conoscerà una crisi peggiore di quella che già abbiamo vissuto”, aveva dichiarato in un ultimo tentativo di salvezza, prima del verdetto finale. L’ex First Lady è stata anche interrogata dalla giustizia francese per la sparizione, ad Abijan nel 2004, del giornalista franco-canadese Guy André Kieffer. Inoltre, Simone Gabgbo è citata in giudizio per “crimini contro l’umanità” dalla Corte Penale Internazionale (CPI). Il tribunale internazionale, che sta attualmente processando Laurent Gabgbo e Charles Blé Goudé, ex ministro della Gioventù, ha da sempre chiesto il trasferimento dell’ex Firt Lady, senza riuscirci. Ad oggi, Simone Gabgbo è la sola rappresentante del gentil sesso ad essere reclamata dalla CPI. Ma Abidjan,attraverso una dichiarazione di Alassane Ouattara, afferma essere assolutamente in grado di assicurare un processo esemplare sul suolo ivoriano.
Purtroppo, già alla vigilia del processo – che dovrebbe durare tutto il mese di Giugno – molte voci denunciano un procedimento “organizzato alla bella e buona” e una “simulazione”. In un comunicato congiunto, la Federazione internazionale per i Diritti Umani (FIDH), la Lega ivoriana per i Diritti Umani (Lidho) e il Movimento ivoriano per i Diritti Umani (MIDH) che dicono “rappresentare più di 250 vittime”, hanno annunciato la loro decisione di “tenersi lontani dal processo”. Le preoccupazioni sono lecite perché se la Gabgbo ritrovasse la libertà, potrebbe far nuovamente smuovere le piazze e ridare speranza al suo campo. Il suo terreno di gioco è l’arena politica. Ma se prima della crisi e dei suoi morti c’era la possibilità di andare all’opposizione, pesare sulla scena politica, puntare sulle elezioni politiche per impedire ad Ouattara di governare e prepararsi così, con possibilità non trascurabili, alle prossime presidenziali, ora è probabilmente tardi. Simone Gabgbo ha voluto il potere, tutto il potere, tutto e subito, sempre, ad ogni costo. A volte, potere vuol dire compromesso.