Sironi, il restauro di Italia tra le Arti e le Scienze

Roma – Si è conclusa la prima fase dell’intervento di restauro e ripristino della pittura murale originale che si estende su una superficie di 94 mq, fondale dell’Aula Magna del Rettorato in quella che nel 1935 era stata inaugurata come la Nuova Città Universitaria della Sapienza su progetto dell’architetto Marcello Piacentini. Realizzata da Mario Sironi nello stesso anno in tempo record – appena due mesi – stravolta nel corso dei successivi 15 anni, si è preservata per il 70%, dove il restante 30% sarà raggiunto mediante l’impiego delle integrazioni necessarie.

Al momento, si è risanato il 40% dell’opera, in seguito a poco meno di un anno di lavori che si concluderanno entro luglio 2017 con una grande mostra. Si tratta del primo risultato concreto derivante dal protocollo d’intesa tra MIUR e MiBACT sottoscritto nel marzo del 2015; in particolare, per l’opera di Sironi è stata siglata, nel mese di aprile dello stesso anno, una convenzione tra La Sapienza e l’Istituto Superiore per la Conservazione ed il Restauro (ISCR).

Nel 1947 l’affresco con finitura a secco era stato coperto con carta da parati, poi strappata causando la parziale perdita della pellicola pittorica, dettando la costituzione di una commissione speciale che ne decretasse il futuro. Si optò per una ridipintura che potesse anche camuffare la simbologia del Regime Fascista, affidata nel 1950 al pittore napoletano Carlo Siviero. Siviero operò un ritocco decisamente invasivo, con ingenti interpretazioni della raffigurazione sironiana, che venne stravolta addirittura stilisticamente tanto da venire persa.

Il dipinto originario testimonia il passato politico e storico-artistico del nostro Paese, oltre che dell’università capitolina. È questa la prima occasione di studio diretto sull’opera sironiana, in quanto finora – nel 1982, 1985 e 1994 – erano stati condotti restauri, studi e test di pulitura su porzioni limitate. Risulta fondamentale distinguere la pennellata di Siviero da quella di Sironi, cercando d’individuare una logica nel modus operandi del primo, dato che a livello di stesura sussiste una certa affinità.

Oltre alle analisi scientifiche, la ricerca bibliografica e documentaria, con particolare attenzione al reperimento di immagini fotografiche degli anni Trenta – agevolata dagli eredi di Mario Sironi con documenti, bozzetti e cartoni per studi e confronti – è alla base delle scelte metodologiche e critiche dell’iniziativa. I lavori si configurano come occasione di scambio e collaborazione, in forma di cantiere-scuola per gli allievi restauratori dell’ISCR, coordinati da restauratori docenti, e come attività didattica per gli studenti dei corsi di specializzazione in Beni Storico Artistici della Sapienza, seguiti da docenti del Dipartimento di Storia dell’Arte e Spettacolo: i primi forniscono informazioni e spiegazioni sui materiali costitutivi e sulle tecniche esecutive, mentre i secondi approfondiscono le vicende storico-critiche e conservative dell’opera nel suo contesto.

Radiazioni ultraviolette e infrarosse hanno indagato la possibile esistenza di abbozzi di disegno a pennello direttamente sull’intonaco sottostante la pellicola pittorica originale. È stata operata l’analisi dei pigmenti, assieme a quella degli elementi della superficie, resa possibile attraverso l’utilizzo del colorimetro e la registrazione delle caratteristiche cromatiche relative a ogni singolo tassello che è stato aperto, al fine di creare un quadro completo di quanto si possa ascrivere a un artista o all’altro, dunque quali siano le variazioni tra le due versioni. Una soluzione acquosa ha permesso di rimuovere minuziosamente pochi centimetri di pittura, al fine di rivelare la differenza tra gli strati precedenti.

Sotto la direzione di Marina Righetti, Gisella Capponi, Eliana Billi e Laura D’Agostino, ora i lavori procederanno spediti fino alla loro conclusione. Dopo 66 anni d’oblio, il cielo ritrova il suo azzurro intenso, le montagne brulle d’ispirazione giottesca tornano alle loro tonalità originali. Dall’arco trionfale ridimensionato riaffiora la figura a cavallo, con ogni probabilità ritratto di Mussolini che porge il saluto romano. Riappaiono i numeri romani scolpiti nella montagna a scandire i 14 anni d’età del Ventennio Fascista e, subito sotto, si scorge l’aquila imperiale appena sopra la personificazione allegorica dell’Italia. Dopo la pulitura, sarà di dovere anche un lungo lavoro di reintegrazione che riconsegnerà all’Aula Magna del Rettorato qualcosa di molto vicino all’opera originale; difatti, laddove le parti originali sono andate perdute, si cercherà di restituire i volumi e il rapporto tra i volumi e il fondo, tenendo in considerazione che questo dipinto viene osservato dal basso e a distanza.

Sironi teorizzava il ritorno alla decorazione murale monumentale in due testi programmatici: Pittura Murale (Il Popolo d’Italia, 1 gennaio 1932) e il Manifesto della Pittura Murale, firmato anche da Campigli, Carrà e Funi (Colonna, dicembre 1933). Cresciuto a Roma, il “vero sentimento di tradizione” proveniente dall’arte classica doveva essere di base per il futuro dell’uomo che si rimbocca le maniche, lavora e fatica, per raggiungere l’obiettivo che si è posto. L’arte pubblica, materiale d’appalti in epoca fascista, offriva il contesto ideale per l’arte murale che, preposta all’educazione del popolo, richiedeva per ragioni stilistiche e tecniche vero talento e arduo lavoro. Sironi poteva così dare forma alla propria vocazione plastica e architettonica, articolando i volumi della sua arte, e adottando una composizione multicentrica, spesso a riquadri, governata da una spazialità e una prospettiva prerinascimentali.

©Futuro Europa®

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