Loi travail, il Jobs act alla francese

Insieme agli attentati subiti da parte degli affiliati dell’Isis ed ora agli Europei di calcio, il tema centrale che tiene banco in Francia è sicuramente la “Loi travail”.  Questa è stata subito accostata alla legge sul lavoro messa in atto dal governo Renzi e per questo denominata “Jobs act alla francese”. Ma il parallelismo semantico ha veramente ragione di essere? Sicuramente sì se ci fermiamo ai titoli, molto meno se si approfondisce il discorso scendendo nei dettagli dei due provvedimenti. La similitudine più evidente e singolare è che entrambe sono appannaggio di governi di sinistra, considerando che vanno incontro ai desideri delle aziende molto più che a quelli dei lavoratori, è notazione degna attenzione per i commentatori politici.

Motivo scatenante della necessità di mettere mano al mercato del lavoro è stata l’acclarata scarsa competitività della Francia nello scenario internazionale, come evidenziato anche dagli studi dell’OCSE. Il report dell’Organismo Internazionale ha posto l’accento su elevati salari minimi, eccessiva rigidità e protezione del mercato del lavoro, elevato tasso del cuneo fiscale. Molti punti in comune con la situazione italiana, a parte il salario minimo purtroppo, ma probabilmente gli stessi errori di base sul come voler risolvere il problema della competitività. E’ oramai evidente che il taglio del costo del lavoro fine a sé stesso non porta i risultati attesi contribuendo piuttosto a deprimere i consumi agendo sia sul versante della disponibilità di denaro che sulle attese per il futuro, fattore che in macro-economia è perfino più importante.

Alla base degli scontri e delle proteste, a volte  macchiate di violenza, che stanno avvenendo in Francia è, probabilmente, la mancanza di una ‘intermediazione’ politica parlamentare. Il Presidente Hollande ha infatti, per la prima volta e forzandone lo spirito, autorizzato il premier Manuel Valls a ricorrere all’articolo della costituzione 49-3 che permette di adottare la riforma senza il voto del Parlamento, la successiva mozione di sfiducia non è passata. Il malcontento si è saldato nel movimento ‘Nuit debout’ (La notte in piedi) ed ha dato il via ad una serie di proteste che hanno riempito ed infiammato le piazze. Eppure la legge messa al punto dal Ministro del Lavoro Myriam El Khomri, non è così forte come il jobs act del ministro Poletti. Nel caso transalpino i Sindacati francesi hanno avuto ben altra presa sul mondo del lavoro rispetto a quelli italiani, ed i risultati in termini di numero di persone e scioperi è evidente.

Se il provvedimento italiano è andato a colpire direttamente al cuore le prerogative sindacali distinguendosi per una forte centralizzazione e statalismo, relegando la contrattazione aziendale ai minimi termini, la Loi Travail ha lasciato un ruolo quadro allo Stato delegando quanto possibile ai rapporti tra le parti sociali. La legge francese prevede l’istituzione del Conto Personale di Attività (CPA), a fronte di una maggiore facilità di licenziamento da parte dell’azienda, questo meccanismo creerebbe una rete di sicurezza per il lavoratore in uscita. Parallelamente l’Embauche PME, favorirebbe l’assunzione di personale a tempo indeterminato da parte delle PMI, entrambi questi progetti appaiono di dubbia efficacia e verificabili solo sul long time, forse mirati più alle difficoltà di popolarità interna di Hollande che altro.

La Loi Travail va a concedere la possibilità alle aziende di aumentare notevolmente l’orario di lavoro, il calcolo dello straordinario rispetto alle 35 ore viene  rimodulato consentendo di alzarne il tetto massimo e riducendo nel contempo la maggiore retribuzione data ai lavoratori per lo stesso. Vengono poi meno o molto ridotte le ampie discrezionalità ora in possesso della magistratura in merito a reintegri ed indennità per indebito licenziamento. Plateale la differenza di garanzie sociali tra la Loi Travail ed il Jobs Act, mentre Renzi e Poletti hanno dato ampio mandato alle imprese sul fronte dei controlli dei lavoratori, i francesi non solo li vietano, ma impongono il “non disturbo” del dipendente fuori dell’orario di lavoro.

Le manifestazioni di piazza possono trarre in inganno rispetto ai rapporti interni tra governo e parti sociali, anche qui la differenza con l’atteggiamento italiano è evidente e ben marcata. Se Renzi ha evitato ogni contatto con i Sindacati giudicandoli un intralcio ai suoi piani e concentrandosi solo sull’art.18, il dialogo con la controparte è cercato e voluto dal governo francese, ed i licenziamenti non sono il focus del provvedimento. Da una parte abbiamo una Loi Travail che è passata attraverso una lunga serie discussioni e contrattazioni, anche con evidenti punti critici, di qua c’è stata una legge calata dall’alto con il suo corollario di decreti attuativi e poco altro.

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