Brexit o Bremain, oggi si vota
Solo nella patria di Shakespeare poteva nascere un dubbio amletico emulo del immarcescibile “essere o non essere”. Essendo l’economia terreno molto più solido del teatro, in questo caso siamo di fronte ad un dubbio che non avrebbe ragione di essere per menti senzienti. La brexit sarebbe un disastro totale per il Regno Unito, oltre a portare danni al resto dell’Europa, ma in maniera decisamente meno tangibile del suicidio economico che farebbe di Albione carne da macello.
I dati portati da Christopher Prentice, Ambasciatore britannico in Italia, Fabrizio Coricelli della Paris School of Economics ed Erik Jones, Director of European and Eurasian Studies del SAIS Bologna, al seminario di Nomisma organizzato e condotto dal Managing Director del think tank bolognese non lasciano dubbi. Numeri che sono peraltro concordi con tutti gli studi economici e strategici fatti sul tema, aggravio di € 4.300 a famiglia inglese per anno, € 36,4 mld di minori tasse riscosse da parte dell’erario di sua maestà, uscita dal WTO e da tutti i trattati europei.
I grafici dimostrano che dall’entrata della Gran Bretagna nella UE il PIL inglese è sempre aumentato, anche superando la crisi del 2008, il seminario ha mostrato come il danno di una uscita sarebbe tanto più pesante per la forte componente intra-industriale dell’economia inglese con quella europea. L’ambasciatore Prentice ha rimarcato come siano le classi della sua età ad essere favorevoli ad una brexit, meno sensibili alle dinamiche economiche e sociali, più legate ad un antico isolazionismo dell’isola. Le fasce giovani sono decisamente favorevoli al Leave, ma giustamente Mr. Prentice appuntava che sono i giovani quelli che vanno meno a votare.
Ma da dove nasce quindi questa folle idea della brexit? Una carta politica giocata con leggerezza da Major in campo politico interno ed usata poi al tavolo delle trattative europee per strappare condizioni migliori, ,a che al ritorno in patria si è dimostrata un boomerang. Boris Johnson non si è adeguato ai desiderata del premier e si è elevato a paladino della brexit, puro calcolo politico, ma che ha coalizzato grande seguito. Resta singolare che nessuno dei sostenitori del Leave porti un qualsivoglia studio od analisi a sostegno dell’uscita della UE, un poco salvinianamente giocano “sulla pancia della gente”, ma senza nessun supporto di dati a conforto delle proprie tesi.
I numeri non lasciano spazio a nessun dubbio, Tesoro britannico, Ocse e Fmi concordano: il Brexit porterebbe ad una crescita del PIL da qui al 2020 inferiore del 3-5,5%. Per Irlanda, Belgio e Olanda, l’esposizione è significativa, l’export verso il Regno Unito rappresenta il 7-11% del PIL. Secondo S&P. L’Italia appare meno vulnerabile. Il Regno Unito assorbe un ventesimo delle esportazioni, molto meno che Germania (13%) e Francia (11%), anche se il saldo commerciale di quasi 12 miliardi di euro rappresenta 0,8% del PIL. Un avanzo che ovviamente non scomparirebbe d’incanto, ma sarebbe a rischio concorrenza.