Cronache dai Palazzi
Renzi studia un piano B e la Gran Bretagna esce dall’Unione europea. Sono questi i risultati degli ultimi eventi sul fronte nazionale – dove i partiti tradizionali, il Pd in testa, devono fare i conti con l’ascesa dei Cinquestelle, che si dichiarano pronti per il governo nazionale – e sul fronte europeo dove ha trionfato lo schieramento “Brexit” capitanato da Nigel Farage.
Gli eventi si intrecciano ed è inevitabile allungare lo sguardo a ciò che succede in Europa. Tutti i leader hanno dimostrato grande attenzione per il referendum britannico ed ognuno ha nutrito delle aspettative fino all’esito del voto. E soprattutto ora nulla sarà più come prima, come hanno avvertito Jean-Claude Juncker, presidente della Commissione europea, che aveva avvertito Londra: se si esce non si tratta. Sulla stessa lunghezza d’onda il leader francese François Hollande che l’ha definita una scelta “irreversibile”.
Le istituzioni europee nel frattempo sono impegnate a fronteggiare l’instabilità dei mercati, pronte ad intervenire. Prima fra tutte la Bce con a capo Mario Draghi. Per quanto riguarda le ricadute politiche invece, il Consiglio dei capi di Stato e di governo è stato rinviato (si terrà martedì e mercoledì prossimi) proprio per affrontare l’esito della consultazione nel Regno Unito. Sul rinvio hanno influito comunque anche le elezioni spagnole di domenica 26 giugno proprio per valutare eventuali fronti euroscettici.
Tra gli euroscettici indiscussi un tempo sedevano anche i seguaci di Beppe Grillo che ora dal suo blog rivaluta la scelta di stare in Europa, anche se in un’Europa necessariamente diversa da quella attuale. I successi riportati nel voto delle Amministrative sembrano aver ridimensionato i toni dei pentastellati, e del suo leader megafono soprattutto. “Il Movimento Cinquestelle è in Europa e non ha nessuna intenzione di abbandonarla”, scrive Beppe Grillo che aggiunge: “Se non fossimo interessati all’Unione Europea non ci saremmo mai candidati”. Il leader pentastellato riconosce che “l’Italia è uno dei Paesi fondatori dell’Ue” ma ciò non vuol dire che siano tutte rose. Ci sono anche le spine: “Ci sono molte cose di quest’Europa che non funzionano”. Per i Cinquestelle “l’unico modo per cambiare questa ‘Unione’ è il costante impegno istituzionale”, quindi “Il Movimento 5 Stelle si sta battendo per trasformare l’Ue dall’interno”, sottolinea Grillo. Il messaggio rivolto ai cittadini-elettori è inequivocabile: questa Europa non va bene, ma l’Italia è in Europa e deve lottare per cambiare ciò che non va. I toni sono però oggettivamente più pacati rispetto alle parole di guerra sparate tempo fa. Il 3 gennaio 2014, ad esempio, Beppe Grillo definì l’Unione europea una “moderna dittatura che usa i cerimoniali democratici per legittimare se stessa”. In data ancora più recente, nell’aprile 2015, dopo un’ennesima catastrofe nel Canale di Sicilia, Grillo sparava parole ancora più dure contro l’emergenza profughi, inneggiando alla “espulsione degli immigrati irregolari” non classificabili come “rifugiati”, e sottolineando che un eventuale invasione dello straniero avrebbe rappresentato “uno stato di guerra”. Inequivocabile infine la posizione riguardo alla moneta comune, per cui i Cinque Stelle propongono “l’indizione di un referendum consultivo per chiedere ai cittadini un parere”. Ciò che conta comunque è la seguente nota diffusa dal Movimento: “Non abbiamo mai detto di voler uscire dall’Ue”.
Per Matteo Renzi invece è arrivata l’ora di correggere l’indirizzo eccessivamente personalistico della sua politica, ridimensionando le ambizioni e rinunciando agli annunci. Sono consigli dispensati al premier dai suoi stessi stretti collaboratori, per cui la parola d’ordine è”spersonalizzare lo scontro”. In primo luogo, al di là del voto delle amministrative, è necessario svincolare le sorti del referendum costituzionale d’ottobre dal destino del premier Renzi. “È ormai evidente che aver polarizzato lo scontro su di te non paga”: è il parere dei fedelissimi di Palazzo Chigi a ridosso dei risultati dei ballottaggi. “Anzi è dannoso, come dimostrato i risultati elettorali: è stato un voto contro Renzi”. In definitiva per i più stretti collaboratori di Renzi il voto d’autunno non dovrebbe trasformarsi in un “plebiscito” pro o contro il premier impedendogli di “parlare del merito della riforma costituzionale che, di per sé, ha una forte portata innovativa e nei contenuti è decisamente popolare”.
In sostanza, il rottamatore, che si è presentato come colui che avrebbe rottamato il potere e le sue vecchie logiche si ritrova vittima di quest’ultime, costretto ad accettare un obbligato “passo di lato”, che in pratica si traduce in una brusca ‘frenata’ del suo treno in corsa. Una dimostrazione del “passo di lato” il premier Renzi la dà parlando di cambiamento e di futuro in maniera non più personalistica, o agganciata al suo destino, bensì citando “il futuro dell’Italia” che “deve cambiare, diventare più semplice”. Ma tutto ciò “sarà possibile se il Paese non avrà paura”, sottolinea Renzi che non rinuncia alla sua grinta e ammonisce i “populisti” che “guardano al futuro come una minaccia da cui proteggersi, di cui aver timore”.
Il referendum costituzionale rimane “la partita con la P maiuscola” e anche di fronte ai risultati non proprio rincuoranti delle Amministrative il premier-segretario dichiara di voler tenere “saldo il timone”. Anche all’interno del proprio partito dove apre ad un eventuale dialogo con la minoranza che vorrebbe una revisione a viso aperto della nuova legge elettorale, anche se Renzi non ci pensa proprio. La minoranza dem chiede al suo segretario di essere inoltre “più inclusivo” svincolandosi dal suo profilo personalistico che per i non renziani rappresenta una cifra svantaggiosa per il Pd di tutti. In definitiva la partita di ottobre sarà di certo “un match tirato”, come lo definisce Renzi rivolgendosi ai suoi. Visto l’esito delle Amministrative e l’aria che tira, inoltre, potrebbe trasformarsi anch’esso in una ulteriore occasione per mandare a casa il potere, e quindi il cosiddetto ‘establishment’ ora rappresentato da Renzi e dal renzismo. A prescindere.