Asset e persone, un Nobel per paradosso
Provare ad argomentare che l’economia è una scienza può essere un’attività complicata. Per come sono strutturati e per come possono manifestarsi nuovamente, l’osservazione dei fenomeni socio economici avviene, di solito, ex post, e risulta complicato descrivere percorsi effettuali che ci consentano di descrivere una legge economica: non è come calcolare il tempo necessario a raggiungere una data distanza ad una velocità calcolabile. Per fortuna molte delle teorie economiche sono servite, molte ancora serviranno, per spiegare i comportamenti umani e per porre rimedio alle eventuali storture conseguenti. Nella dialettica democratica, e nella gestione di sistemi complessi, potrebbe essere necessario – oltre che osservare, sperimentare, correlare misurazioni distanti, “giocare” con asimmetrie informative, “piegare” funzioni matematiche in funzione della politica da seguire – lavorare per rendere l’economia una scienza sociale capace di descrivere percorsi efficacemente virtuosi e consigliare i Governi nelle scelte migliori da compiere.
Ma la dubitabilità costante sembra essere l’unica certezza: certo è ovvio che la bellezza insita nella speculazione economico politica sia affascinante, ma quando tale produzione genera più errori di quanti ne volesse risolvere, ci piacerebbe avere formule certissime che guidino le nostre azioni. Anche se scegliessimo lo schema della falsificazione degli errori, a partire dalla modalità di osservazione e dagli schemi di lettura della realtà, dovremmo essere indotti a considerare che le nostre certezze economiche, per assurgere a scienza, dovrebbero essere oggettivamente criticabili e falsificabili. Ma anche questo eventuale percorso popperiano, per essere efficacemente realizzato in una sistema globalizzato come quello che viviamo, può distorcere la percezione del tempo: con la tentazione del breve termine sempre asfitticamente presente, il sistema non fa in tempo a correggere gli errori che se ne presentano di nuovi e più complessi. In questo quadro soggettivo, non è importante conoscere il criterio che l’Accademia svedese delle scienze ha utilizzato per scegliere gli economisti da premiare; e non ci interessano le diatribe sulla reputazione degli economisti che vincono il Premio. Ci interessa capire come utilizzare gli studi economici per migliorare la conoscenza della complessità e rendere più virtuosi i processi decisionali e le politiche delegate ad interpretare la realtà e a trovare possibili soluzioni ai problemi economici globali.
Robert James Shiller, uno dei vincitori del Premio Nobel per l’Economia del 2013, è considerato uno dei principali esperti di finanza borsistica al mondo. Nel marzo dell’anno 2000, Shiller “predisse” lo scoppio della bolla speculativa della borsa americana, e il premio gli è stato assegnato per le “analisi empiriche sui prezzi degli asset”. Ciò significa che la previsione dell’andamento dei prezzi delle attività finanziarie nel medio termine, anche dopo la crisi attuale, è una misurazione possibile. Non sappiamo se fra gli asset valutabili, rientri anche il fattore umano, le Persone, il cui valore è ampiamente annientato dalla crisi. Da questo punto di vista, il downgrade rispetto alla realtà, è evidente: i popoli, le persone, devono sforzarsi di immaginare un futuro migliore se vogliono vivere un presente decente, ma questo comporta una dipendenza eccessiva dalle determinazioni di una disciplina che non può essere scienza, perché anziché cercare la pace attivamente, realizza piani operativi, senza strategia, solo per evitare la guerra, e non per creare da subito un presente migliore. «Non c’è modo prevedere il prezzo di azioni e obbligazioni dei prossimi giorni o settimane, è possibile prevedere invece l’andamento di questi prezzi sul lungo periodo», si legge nella motivazione dell’Accademia.
L’altro economista premiato è Eugene Fama della Chicago University. Shiller da sempre sostiene che i mercati sono inefficienti e portatori di intrinseca volatilità, al contrario Fama sostiene che i mercati siano dotati di capacità di regolamentazione e regolarità delle scelte. Mercati efficienti contro esuberanza irrazionale, quindi. Che sono, paradossalmente, la sintesi e gli opposti della crisi economica che viviamo. Non è sufficiente che i mercati abbiano insite dinamiche di aggiustamento dei prezzi, né che l’irrazionalità vada governata con regole più stringenti: in mezzo ci sono le persone, che sembra non abbiano più valore, visto che vogliamo a tutti i costi creare caos ed instabilità pur di scommettere ogni giorno sui valori che gli asset avranno in futuro e non riusciamo ad investire nel presente, l’unico elemento che ha un reale valore.
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