Cronache dai Palazzi

In sede europea i vari leader di governo fanno i conti con il dopo Brexit per cercare di arginare eventuali conseguenze negative sull’economia e i sistemi bancari nazionali. Conseguenze segnalate del resto dal presidente della BCE, Mario Draghi. In questo contesto la cancelliera tedesca ha sottolineato che non si possono cambiare le regole ogni due anni, mentre il premier italiano ha ricordato che all’Italia è stato concesso solo quanto le spettava, dopo aver rispettato le regole. Renzi ha inoltre chiamato in causa i governi Monti e Letta citando vari accordi con Bruxelles. Il Fiscal Compact, l’Unione bancaria (senza Fondo depositi), gli aiuti Ue destinati alle banche tedesche e francesi sono solo alcune delle misure prese di mira dal nostro presidente del Consiglio che ha sottolineato come l’Italia sia stata colpita da duri anni di recessione, impoverimento e conseguente crescita dei crediti bancari non esigibili. “La Germania ha messo 247 miliardi di euro per salvare le proprie banche, mentre i premier italiani, pur potendo, non lo hanno fatto”, ha ammonito Renzi garantendo comunque di essere “nelle condizioni per proteggere i denari dei correntisti e dei cittadini”.

Inoltre, nonostante gli aut aut di Merkel e le riserve della Commissione europea, Renzi ha dimostrato l’intenzione di “ricapitalizzare ulteriormente” il fondo Atlante per le banche in difficoltà, che “ha dato risposte molto importanti”. In definitiva la sfiducia per l’Ue dilaga dove regna la “disoccupazione” e, invece di citare in maniera magari accorata le ricadute della Brexit per l’Italia, per il premier italiano la preoccupazione primaria dovrebbe essere “fare l’Europa più sociale, degli asili nido e dello sviluppo”.

Per Renzi il tema delle banche è paritario rispetto alla spesa in deficit. “Bisogna solo che i funzionari della Commissione la smettano di osservare interpretazioni restrittive e considerino con buon senso la situazione finanziaria, non solo italiana”, si vocifera a Palazzo Chigi. In definitiva con il Consiglio europeo Renzi ha portato a casa l’appoggio di Jean-Claude Juncker, il quale ha garantito al nostro premier che “farà tutto il possibile, tutto quello che è in mio potere” – ha affermato Juncker – per favorire le richieste del sistema italiano a proposito di rafforzamento del sistema bancario. Come per il Patto di Stabilità, occorre buon senso per mettere a punto la giusta interpretazione delle norme esistenti. In quest’ottica Governo, Banca d’Italia e Cassa depositi e prestiti stanno lavorando per definire eventuali linee di intervento pubblico che dovranno però veder dichiarato semaforo verde da parte di Bruxelles. Per ora la Commissione di Juncker ha già autorizzato uno schema di garanzie pubbliche per mettere al sicuro la liquidità degli istituto di credito italiani “solvibili”, schema tra l’altro messo a punto dal ministero dell’Economia di Pier Carlo Padoan e ritenuto compatibile con le linee guida indicate dall’Europa nel 2013 a proposito di aiuti di Stato alle banche nel corso della crisi finanziaria.

Si tratta comunque di una sorta di autorizzazione operativa per sei mesi, fino al 31 dicembre 2016, ed è in ogni caso rinnovabile. Oltre al sostegno delle banche solvibili proteggendone e favorendone la liquidità, l’obiettivo dello schema suddetto sarebbe quello di scoraggiare eventuali attacchi speculativi in momenti di tensione finanziaria  sui mercati come quello attuale post Brexit. L’Italia ci ha tenuto comunque a sottolineare che l’autorizzazione concessa dall’istituzione europea di Bruxelles è uno schema di garanzie pubbliche per le banche richiesto ed ottenuto solo “per motivi precauzionali” e, in questo momento, “non c’è l’aspettativa che si verificherà la necessità di utilizzarlo”. In pratica fonti del Tesoro hanno sottolineato che “davanti alle turbolenze dei mercati finanziari dei giorni scorsi, il governo ha ritenuto opportuno ipotizzare tutti gli scenari, anche i più improbabili”. Ammonterebbe a 150 miliardi l’importo utilizzabile.

Le grane però non sono finite. Torna in pista l’Italicum ed eventuali modifiche da apportare al premio di maggioranza a favore della coalizione e non più della lista. Così è subito guerra tra Renzi e i Cinque Stelle che accusano il premier-segretario di temere un eventuale sorpasso dei pentastellati, soprattutto dopo gli esiti delle Amministrative a Roma come a Torino. Renzi ovviamente dichiara di non essere affatto “preoccupato” ma i Cinque Stelle non mollano la presa, e rimarcano la “paura” di Palazzo Chigi di fronte ad una legge elettorale così fatta. Il tema tra l’altro si intreccia, anche nei tempi, con il referendum costituzionale d’autunno e la Camera si impegnerebbe a riformare la legge elettorale in vista  dell’udienza del 4 ottobre in cui la Corte Costituzionale si occuperà di esaminare il ricorso sull’Italicum messo in campo dal Tribunale di Messina.

“Cambiare l’Italicum è una priorità ma per farlo non siamo disposti a nessun baratto”, ha dichiarato Paolo Romani di Forza Italia, che fa sapere come a Berlusconi interessi il ritorno al premio di maggioranza alla coalizione per rendere competitivo il centrodestra, mentre il Pd, dopo gli ultimi trionfi dei grillini, non è più sicuro di essere il primo partito in grado di varcare la soglia del 40%.

Grillo e i suoi discepoli ora difendono “quella che fino all’altro giorno definivano una legge elettorale liberticida”, ammonisce il premier cercando di “sgonfiare la propaganda contro la riforma costituzionale che parte proprio dalla critica all’Italicum”. Inoltre “se pensano di farmi paura non mi conoscono”, afferma Renzi rivolgendosi ai grillini.

Al di là delle polemiche, è molto probabile che il premier rimetta mano alla riforma elettorale “ma solo dopo il referendum”. Sono dalla parte di eventuali modifiche non solo Forza Italia ma anche il Nuovo centrodestra e buona parte del Pd in cui il premier-segretario ci tiene a riaprire i giochi spianando la strada al dialogo con gli avversari interni. In definitiva Renzi ci tiene a ricompattare il suo Pd, e l’Italicum rappresenterebbe una buona occasione, anche per non farlo arrivare diviso al referendum costituzionale.

©Futuro Europa®

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