Filippine: Rodrigo Duterte, tra populismo ed estremismo

L’avvocato settantunenne è  ufficialmente  Presidente delle Filippine dallo scorso 30 Giugno. Ha già fatto sapere che il suo mandato non sarebbe stato un lungo fiume tranquillo.

Rodrigo Duterte è stato eletto Presidente dopo aver promesso di portare avanti una guerra senza pietà contro la criminalità in una campagna elettorale intrisa di populismo ed estremismo. Durante il suo discorso di investitura, l’avvocato ha dichiarato che il suo mandato sarà “un viaggio movimentato”, dopo una campagna oltranzista che lo ha visto promettere l’uccisione di migliaia di criminali. Il sindaco della grande città meridionale  di Davao è formalmente succeduto al civilissimo Benigno Aquino, dopo avere vinto con grandissimo margine le elezioni del 9 Maggio scorso. Uscendo dalla tradizione, ha prestato giuramento per un mandato unico di sei anni nel palazzo presidenziale di Malacanang, e non davanti alla folla festante come lo avevano fatto tutti i suoi predecessori.

In un breve intervento, l’avvocato diventato celebre per il suo parlare fuori dai denti e per le sue filippiche contro le élite, ha annunciato che la sua presidenza non sarebbe stata un lungo fiume calmo. “Il viaggio sarà movimentato, ma venite lo stesso con me”, ha lanciato durante un discorso orientato verso uno dei suoi temi preferiti, la necessità di ristabilire l’ordine in una società alla deriva, precisando che “i problemi che minano il nostro Paese e che devono essere risolti con urgenza sono la corruzione, presente in  ogni livello dell’amministrazione, la criminalità nelle strade, il traffico di droga generalizzato in ogni strato sociale del Paese e l’assenza di ordine pubblico”. Il nuovo Presidente, che si è fatto una reputazione di “duro” durante il periodo passato al comune di Davao, ha affermato che questi problemi non erano che i sintomi dell’erosione della fiducia dei filippini nei confronti dei rappresentanti del potere. “Nessun leader, quale che sia la sua forza, può riuscire in un progetto di importanza nazionale senza il sostegno e la cooperazione del popolo che lo ha incaricato di dirigerlo”, ha detto Duterte. Il suo controverso programma securitario, prevede il reinserimento della pena di morte abolita nel 2006, il diritto delle forze di sicurezza di sparare  per uccidere i criminali, dei premi ai i poliziotti che riportassero le spoglie dei trafficanti di droga. Ha anche incoraggiato i comuni cittadini ad uccidere o arrestare i sospetti.

Durante la sua campagna elettorale, ha affermato che i cadaveri di centomila criminali sarebbero stati dati i pasto ai pesci della Baia di Manila. Rodrigo Duterte è accusato dai difensori dei Diritti Umani di aver diretto degli squadroni della morte a Davao, dove avrebbero ucciso più di 1000 persone. All’estero, come nell’arcipelago, delle associazioni per i Diritti Umani sono in allarme per questi progetti e temono di vedere il proliferarsi di assassinii extragiuridici simili a quelli di Davao. Il neo Presidente ha però affermato più volte che la sua lotta contro la criminalità sarebbe stata “implacabile e di spessore”, chiedendo anche ai suoi detrattori di rispettare il mandato a lui conferito dai filippini. Si è in ogni caso “impegnato” a rimanere nell’ambito della “legalità”. Ha detto anche che “come avvocato ed ex procuratore, conosceva bene i limiti del potere e dell’autorità del Presidente”. Colui che aveva trattato di “figlio di buona donna” il Papa per aver  provocato ingorghi in tutto il Paese durante la sua visita, conta stabilire il coprifuoco la sera per i minori e vietare la vendita si alcol dopo la mezzanotte.

Fine Aprile, quando era ancora solo il favorito della campagna presidenziale, Rodrigo Duterte aveva minacciato di rompere le relazioni diplomatiche con gli Stati Uniti e l’Australia che lo avevano criticato dopo una sua battuta di dubbio gusto sullo stupro e uccisione di una missionaria australiana. Dopo la sua elezione, si è gratuitamente scagliato contro le Nazioni Unite: “andate a quel Paese Nazioni Unite, non riuscite neanche a risolvere il carnaio in Medio Oriente, non hai potuto alzare un mignolo in Africa, fatela finita”. Nel giorno della sua investitura ha però indirizzato un messaggio di amicizia alla comunità internazionale: “Sul piano internazionale (…) lasciatemi reiterare che la Repubblica delle Filippine rispetterà i trattati e i suoi obblighi internazionali”. Al di là delle uscite oltranziste, Duterte propone anche tutta una serie di riforme, la più importante delle quali è sicuramente l’instaurazione di un sistema federalista in nome della decentralizzazione contro la “Manila imperialista”. Questo  implicherà una riforma costituzionale. Duterte vorrebbe anche mettere fine alle ribellioni comuniste e musulmane che hanno fatto migliaia di morti nell’arcipelago, sicuro che il progetto federalista avrà come conseguenza anche di tranquillizzare i ribelli musulmani. Dei negoziati di pace con i comunisti dovrebbero cominciare a breve.

Lotta contro le diseguaglianze, planning familiare, investimenti esteri, riavvicinamento alla Cina nonostante il contenzioso sul Mar della Cina Meridionale con il fine di attirare investimenti cinesi, sono altrettanti punti del suo piano di rivoluzione dell’arcipelago. Ma se Duterte dice tenere la futuro delle Filippine, sembra anche tenere molto al suo passato. Ha annunciato che il defunto dittatore Ferdinando Marcos potrebbe finalmente avere un funerale da eroe, cosa che  rappresenterebbe una grandissima vittoria per la sua famiglia che tenta di tornare la potere. Dopo la rivoluzione del 1986 chiamata del “potere del popolo”, Marcos e la sua famiglia erano fuggiti negli Stati Uniti. L’ex dittatore, accusato di aver  pesantemente calpestato i Diritti Umani e di aver sottratto 10 miliardi di dollari alle casse dello Stato, è morto tre anni dopo alle Hawai.

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