Ritorna da Copenaghen il Carro di Fara Sabina
Uno dei traffici di reperti archeologici di Giacomo Medici si traduce in una virtuosa iniziativa di collaborazione tra il MiBACT e la Ny Carlsberg Glyptotek di Copenaghen. Tra dicembre di quest’anno e la fine del 2017, verranno rimpatriati reperti scavati e venduti illegalmente negli ’70, non certo all’oscuro dell’allora direttore del Museo danese. Tra questi, il più importante è un nucleo 12 lamine dorate sbalzate da abilissimi orafi e appartenenti a un primo Carro etrusco databile all’inizio del VI secolo a.C. e provenienti dalla necropoli di Colle del Forno.
I frammenti del calesse da parata e il corredo del principe sabino (che consta in gioielli, un pettorale d’oro, armi, scudi, cinture, bronzi, e ceramiche) troveranno spazio nel Museo Civico Archeologico di Fara in Sabina (Rieti), mentre i rispettivi musei locali accoglieranno i manufatti restanti. Le restituzioni, infatti, comprendono lastre, e decorazioni architettoniche strappate da edifici templari di Cerveteri, terrecotte, oggetti di metallo e vasi di un santuario arcaico nel Cosentino, a Francavilla Marittima, e un ciclo di antefisse con menade e sileno, anch’esso proveniente da Cerveteri e smembrato che ora si ricongiunge con la sezione restituita dal Getty Museum di Los Angeles.
“La Ny Carlsberg detiene forse 300 oggetti di provenienza italiana, tanti dei quali sono illegittimi”, dichiara l`Avvocato dello Stato Maurizio Fiorilli. E ancora: “Sono 145 solo i reperti della Tomba del Carro di Fara in Sabina”, rivela l`archeologa Daniela Rizzo ai giudici del processo. Perché i finimenti, le redini, parti di ruote, rilievi con leoni addormentati e decori dorati della Tomba del Carro il museo li acquista proprio da Robert Hecht, che li aveva avuti da Giacomo Medici, il “re dei trafficanti” nel Centro Italia.
Medici ci ricava 64mila dollari, e Hecht 900mila dalla Glyptotek, tra il 1970 e il 1971. Solo nel 1970 era stata introdotta dall’UNESCO la convenzione che proibiva e preveniva l’importazione, l’esportazione e il trasferimento illeciti di proprietà culturali. L’Istituzione ha comperato nel corso degli anni molto dai contrabbandieri – da Medici, che vendeva tramite Hecht, e da Gianfranco Becchina -, dando vita a una ricchissima collezione d’antichità; nel 2006, l’ha riaperta dopo tre anni di restauri, con una mostra dedicata proprio agli Etruschi e al Carro di Fara in Sabina.
Spiega Paola Santoro, archeologa Direttrice dell’ISMA (Istituto di Studi sul Mediterraneo Antico) del CNR (Consiglio Nazionale delle Ricerche): “Nel 1970, durante lavori edilizi, una ruspa scopre la tomba, ed avviene il saccheggio”; a cui seguono gli scavi ufficiali: “Abbiamo ritrovato parte del corredo del medesimo sito, e la collaborazione scientifica con la Ny Carlsberg, negli ultimi anni, sta dando i suoi frutti”. Nel medesimo luogo, la necropoli di Colle del Forno, nel 2006 lei vi ha trovato un’ulteriore tomba, purtroppo crollata, con i resti di un altro carro di un antico principe sabino.
La Ny Carlsberg Glyptotek non si vedrà tuttavia sguarnita, in quanto la riconsegna verrà bilanciata attraverso prestiti a lungo termine di rinvenimenti che a partire dall’1 novembre 2018 verranno concessi da parte del MiBACT. Il primo – come anticipa Alfonsina Russo, Soprintendente per i Beni Archeologici dell’Etruria Meridionale – arriverà dal Museo di Vulci e sarà composto da alcuni reperti della Tomba delle Mani d’Argento, ai quali si aggiungono oggetti provenienti da depositi votivi, sempre di Vulci, e corredi delle necropoli di Capena, Crustumerium e Fidene, che verranno anche restaurati dagli esperti dell’Istituzione danese. Perché in alcuni casi il Museo danese si occuperà dei restauri che in patria non si erano ancora riusciti a realizzare o a ultimare.
I negoziati erano iniziati nel 2012, dopo che l’operazione condotta dal Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale e dal Direttore dell’ARCA (Associazione per la Ricerca sui Crimini contro l’Arte), Stefano Alessandrini, era andata a buon fine confermando che gli scavi erano stati condotti illegalmente in Italia e il materiale era stato esportato senza licenza. A restaurarli erano stati Fritz e Harry Búrki di Zurigo, padre e figlio (il padre era bidello nell’ateneo dove Hecht studiava); i fiduciari del museo, per sincerarsi della bontà dell’acquisto, si erano perfino recati a vedere il corredo durante il restauro, racconta Daniela Rizzo, per cui ne conoscevano benissimo la genesi illegittima.
Un grande ritorno testimone di un passato di razzie di tombaroli, di cui hanno potuto beneficiare i musei di tutto il mondo al momento di formare le proprie collezioni – lo stesso Calesse tornerà incompleto, senza ricongiungersi al resto dei frammenti. La cooperazione ivi suggellata si fonda su principi di giustizia e scambio, creando vantaggi biunivoci, che possa servire d’esempio quale possibile soluzione ai casi irrisolti di mancato dialogo e negato rimpatrio.