Turchia, ipotesi e realtà di un minigolpe
Quando si sono diffuse le prime notizie di un colpo di stato in Turchia, stante la consolidata esperienza in questo ramo delle forze militari del paese, sembrava tutto scontato. A breve si è diffusa la notizia ufficiale che il Presidente Erdogan era in volo per la Germania, insomma sembrava tutto fatto, un ennesimo colpo di stato in un paese a ciò abituato ed un altro politico, che lo si voglia definire dittatore democraticamente eletto o meno, diretto ad una dorata pensione. Invece niente di tutto ciò.
Nel giro di 4 ore la polizia, notoriamente non dotata di mezzi atti a combattere un esercito spiegato con aviazione e carri armati, sedava i sedicenti rivoltosi, Erdogan atterrava in un tripudio di folla che non si vedeva dai tempi di Ceausescu e la restaurazione era fatta. Il tutto è apparso perlomeno strano agli osservatori più attenti fin dai primi minuti dell’evoluzione finale. Che un esercito organizzato come quello turco mettesse in atto un golpe così improvvisato e male in arnese, senza preoccuparsi di arrestare fin da subito il nemico principale e di prendere possesso dei mezzi di comunicazione non rientrava nella logica.
I sospetti si sono acuiti quando è iniziata l’epurazione da parte del presidente Erdogan, oltre i morti negli scontri migliaia sono stati gli arresti, in tutti i settori, dalla scuola agli uffici pubblici, la gogna mediatica ha mostrato in diretta tv cosa succedeva ai presunti cospiratori ed oppositori del regime. Ma facendo un attimo di retrospettiva si vede come negli ultimi tempi si fossero intensificati e modificati i comportamenti tenuti da Erdogan e dal nuovo premier, Yldirim, nei confronti di Russi e Siria. Molto più morbido nei confronti del ‘nemico’ Assad e decisamente più accomodante con il potente vicino Putin, che fedele alla sua real politik pare passare sopra l’incidente del Mig sovietico abbattuto pur di mettere piede in un paese strategico nello scacchiere della NATO come la Turchia.
Il colpevole dell’ideazione viene identificato dalla Turchia nell’esule Fethullah Gülen, ospitato negli Stati Uniti come rifugiato politico, a questo segue un durissimo ed inconsueto attacco di Erdogan al governo di Washington cui intima la consegna del politologo ospitato. Non secondario atto, la chiusura dello spazio aereo sulla base di Incirlik da cui gli alleati fanno partire i raid contro l’Isis, altro avvertimento del cambiamento della politica di questo paese sempre in bilico tra Europa ed Asia.
Fino a che, se mai avverrà, Wikileaks diffonderà documenti riservati in merito, su golpe o presunto tale si possono avanzare solo ipotesi, sicuramente le forze armate, o buona parte di esse, hanno mal digerito l’abbandono della laicità dello stato e l’imbocco di una via islamica da parte del partito di Erdogan, ma quello che è sicuro è che quanto accaduto ha offerto il destro al premier per proseguire in maniera veloce e decisa l’opera di ‘normalizzazione’ del paese al servizio suo e del suo partito. Non pare siano serviti i 6 miliardi di euro versati o previsti dalla UE per la gestione del problema migranti, sicuramente il Presidente turco non si aspetta che Obama gli consegni Gulem, ma mettere l’esule al centro dell’attenzione crea un nemico su cui concentrare l’attenzione sviando gli occhi del paese da quello che succede al suo interno.
Abbracciare tesi complottiste è molto di moda e trova ampi consensi nell’opinione pubblica, esposti i fatti sopracitati è impossibile dare certezze, che sia stato tutto sapientemente architettato appare inverosimile tanto quanta la maldestra preparazione del golpe. In attesa di ulteriori sviluppi, quello che è certo sono le decisioni e le reazioni del governo turco in merito ai diritti civili e i militari apparsi chiaramente torturati ricordano tanto le confessioni estorte dall’Inquisizione secoli fa. La sospensione della CEDU è un altro tassello che si aggiunge alla poca predisposizione della Turchia verso il rispetto delle libertà individuali e dei diritti umani, ed essendo questi valori imprescindibili alla convergenza di un paese verso l’ammissione alla UE, l’entrata del paese nella Comunità si allontana indefinitamente.