UE-Turchia, quale futuro per l’accordo?
Le recenti vicende che hanno destabilizzato la situazione politica in Turchia sembrano aver aperto uno scenario di prossimo disordine internazionale da non sottovalutare. Dopo la notte turbolenta tra il 15 e il 16 luglio scorso, gli equilibri democratici del paese euroasiatico hanno assunto una deriva preoccupante. Il fallito colpo di Stato ad opera delle forze armate turche ha infatti lasciato dietro di sé una lunga scia di sangue e violenza, con un ulteriore inasprimento del potere personale del “presidente sultano” Recep Tayyip Erdoğan.
Alcuni numeri dell’azione punitiva del governo turco fanno letteralmente rabbrividire: dagli scontri si registrano 290 morti, tra militari “golpisti”, poliziotti e popolazione civile, e più di 2000 feriti nel corso di poche ore di guerra per le strade di Istanbul e Ankara. Ma il dato più significativo è l’abnorme ammontare di arresti ed epurazioni all’interno dell’apparato statale, con la sospensione degli incarichi a più di 65 mila dipendenti: dal ministero della giustizia agli affari interni, dai trasporti alle risorse idriche e forestali, sino alle politiche sociali, l’istruzione nazionale e l’educazione superiore; ben 21 mila docenti di scuole private si sono visti ritirare la licenza di insegnamento. Colpito duramente anche il settore dell’informazione, con l’arresto di 42 giornalisti accusati di aver sostenuto la rete di sostegno al golpe.
Davanti a siffatta operazione di “purghe” di stampo quasi staliniano, ciò che salta più all’occhio sono però quei provvedimenti che rischiano di compromettere irreparabilmente i rapporti della Turchia con i suoi storici “alleati” occidentali, in particolare gli Stati Uniti e l’Unione europea. Il presidente Erdoğan ha dichiarato di voler estendere l’attuale stato di emergenza oltre i tre mesi, con relativa sospensione temporanea della Convenzione europea dei Diritti dell’uomo. Nonostante ciò sia previsto dall’articolo 15 delle regole del Consiglio d’Europa, un’azione così drastica comincia a far storcere il naso ai rappresentanti dell’esecutivo UE, impegnati a garantire in primis il rispetto dei valori di giustizia e libertà del progetto europeo.
A tutto questo si aggiunge un’altra possibile “bomba” politica e ideologica, che porterebbe alla rottura definitiva con l’UE: dopo il tentato colpo di Stato, Erdoğan ha proclamato l’eventuale reintroduzione della pena di morte in Turchia, con una conseguente interruzione dei negoziati per l’adesione del paese all’Unione europea. Se infatti l’avvio nel 2005 dei colloqui UE-Turchia beneficiava di diverse misure riformiste in senso democratico da parte di Erdoğan, le ultime azioni dello stesso verso un chiaro accentramento del potere sono un chiaro campanello d’allarme per i vertici UE, costretti a definire al più presto il futuro assetto delle relazioni con la Turchia.
In queste settimane, il susseguirsi delle dichiarazioni da parte dei rappresentanti europei delinea tuttavia un quadro alquanto confuso, che dimostra grandi difficoltà nel prendere una decisione univoca. Ciò è dovuto al fatto che la Turchia rappresenta in ogni caso per l’Europa un partner strategico di primo piano per la gestione dell’emergenza migranti, nello specifico con la stipula dell’accordo bilaterale dello scorso 18 marzo 2016. Da un lato è necessario dare al governo turco un forte segnale di stop sulle azioni antidemocratiche, ma dall’altro bisogna trovare un accordo per gestire insieme le sfide globali: ricordiamo infatti che la Turchia è un importante membro della NATO e una potenza militare di notevole portata.
Ad esprimersi in tal senso è stato il Commissario europeo per l’allargamento, Johannes Hahn: «La Turchia ha bisogno dell’Europa, come l’Europa ha bisogno di un buon rapporto con la Turchia, c’è un do ut es positivo per entrambi», ricordando che è interesse dell’Europa continuare a lavorare per la stabilizzazione del Paese. «Tanto più alla luce dell’accordo sull’immigrazione, che a partire dallo scorso marzo ha fatto crollare il numero degli arrivi di migranti attraverso l’Egeo sulle isole greche». Secondo Hahn gli ingenti investimenti per contenere l’emergenza migranti e «sarebbe fatale per noi vedere nascere dalla Turchia un ulteriore flusso migratorio. Dobbiamo fare in modo che il sistema continui a funzionare».
Un approccio meno diplomatico è stato espresso dall’Alto Rappresentante dell’UE per gli affari esteri e la sicurezza, Federica Mogherini. In una conferenza stampa col segretario di Stato USA, John Kerry, ha dichiarato che se la Turchia reintrodurrà la pena di morte, l’UE sarà pronta a sospendere tutti i negoziati. «Il tentativo di colpo di Stato non deve essere una scusa per allontanare il Paese dai diritti fondamentali e dallo stato di diritto. La Turchia è un membro importante del Consiglio d’Europa e come tale è vincolata dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo, che è davvero chiara sulla pena di morte”, ha affermato la Mogherini.
«Un solo uomo al comando e decisioni arbitrarie non sono accettabili in un paese che non solo è un alleato strategico, ma un candidato all’ingresso nell’Unione Europea»: così il presidente del Parlamento UE, Martin Schulz, che condanna aspramente sia il golpe che la conseguente violazione dei diritti di libertà fondamentali e di espressione da parte del governo, del tutto contrari alle politiche di dialogo promosse dall’Europa.
Voci di forte dissenso anche da parte del presidente della Commissione europea, Jean-Claude Juncker, anche a seguito della stretta delle ultime ore sui giornalisti arrestati: «Ritengo che la Turchia, nel suo stato attuale, non sia in una posizione tale da divenire un membro né presto né nel lungo periodo». Parole che paiono perentorie, un ultimatum alla Turchia perché non sta rispettando gli accordi. Ma il ministro degli esteri turco Mevlüt Çavuşoğlu ha risposto a Juncker che l’Europa non può minacciare la Turchia sulle proprie decisioni riguardanti la pena di morte.
L’attuale scenario geopolitico europeo non sembra dunque granché positivo, soprattutto in un momento in cui sarebbe necessaria più unita tra gli Stati membri e maggiore collaborazione tra l’UE e i paesi vicini per la gestione del terrorismo e dell’emergenza migranti. Tra gli obblighi ufficiali di condanna ideologica e le necessità reali di interazione con la Turchia, l’Unione europea appare invischiata in uno dei suoi maggiori dilemmi di sempre. A questo punto, la prossima azione da compiere sarà di scendere nuovamente a patti col governo turco, in modo da salvaguardare, da un lato, la vocazione europea di “salvaguardia della democrazia”, e dall’altro di riuscire a porsi con autorevolezza nel mezzo dei circuiti di potere internazionali.
Un Commento
Fuori i Turchi dall’Europa!!! Gli Europei non li vogliono, ed i politici dovrebbero rispettare la volontà dei cittadini. Gli Inglesi sono usciti proprio per non aver a che fare con Erdogan e soci. Se entrerà la Turchia sarà lo sfascio dell’Europa, i Referendum per l’uscita si moltiplicheranno perché i cittadini europei questa gente non la vuole!!!