Capodimonte, il ritorno dell’arte contemporanea
Napoli – S’inaugura una nuova stagione per il contemporaneo al Museo di Capodimonte, per volontà del Direttore Sylvain Bellenger. Il Museo che nel 1980 L’ha convinto a intraprendere la specializzazione in Storia dell’Arte all’École du Louvre, appartiene al passato – proprio in quegli anni ne nasceva la collezione d’arte contemporanea. Ed è così che finalmente il dialogo tra l’antico e il contemporaneo viene adeguatamente valorizzato e ristabilito.
Si sviluppa su parte del secondo e del terzo piano una sezione che merita di essere conosciuta a livello internazionale, un corpus “tradizionale” in cui figurano artisti storicizzati; ad accoglierla spazi che sono stati rinnovati per l’occasione, e che sono stati dedicati a Graziella Lonardi Buontempo, collezionista napoletana e fondatrice d’Incontri Internazionali d’Arte, organizzazione attraverso la quale, a partire dal 1987, è nato un rapporto di collaborazione che ha visto un ciclo di 12 esposizioni curate da Bruno Corà all’interno del Salone dei Camuccini di Capodimonte.
Fanno parte di questa raccolta opere spesso realizzate in responso agli spazi e alle opere antiche della pinacoteca, da quella di Andy Warhol (1985), e quella di Alberto Burri (1978), a quella di Daniel Buren (1987-97) che, quale architetto del luogo, opera esclusivamente site-specific, e quella più recente (2002) di Sol Lewitt. Donazioni degli artisti hanno seguito le mostre temporanee, come nel caso di Anselm Kiefer, Luigi Ontani, William Kentridge, Louise Bourgeois, Luca Pignatelli, e Candida Höfer.
A corollario ne fa il bianco-e-nero di Mimmo Jodice che, dalla Galleria Fotografica del terzo piano, documenta la fervente stagione culturale che ha animato la città partenopea tra il 1968 e il 1988, periodo di sperimentazioni artistiche da parte di Andy Warhol, Joseph Beuys, Hermann Nitsch, Mario Merz, Alberto Burri, Jannis Kounellis, Carlo Alfano, Nino Longobardi, Gina Pane, e molti altri, spaziando dall’Informale alla Pop Art, dall’Arte Povera all’Arte Concettuale, dalle performance dell’Azionismo Viennese alla Transavanguardia.
Capodimonte incontra per la prima volta l’arte contemporanea nel 1978 con la personale di Alberto Burri, curata dal Soprintendente Raffaello Causa e dal gallerista napoletano Lucio Amelio; l’Artista realizza per Capodimonte il Grande Cretto Nero, che viene collocato, secondo il desiderio dell’autore, tra Caravaggio e i Caravaggeschi. Negli anni successivi il Museo collabora con alcune celebri gallerie napoletane, come lo Studio Morra, la Galleria Rumma, lo Studio Trisorio, e la Galleria Artiaco.
Una quantità consistente delle opere costituenti la raccolta sono state interessate da un intervento di restauro diretto da Marina Santucci, che ha supervisionato Angela Cerasuolo, Antonio De Riggi, Alessandra Golia, Simonetta Funel, Claudio Palma, Giuseppe Silvestro, Antonio Tosini, restauratori interni all’Istituzione, e gli esterni Stefania Martirano e Gabriella Russo. Tra queste, il Grande Cretto Nero di Alberto Burri (1978), In ascolto di Giulio Paolini (2005), Terra della Pace di Luigi Mainolfi (1990-1991) a Onda d’Urto di Mario Merz (1987), Indizi-Opera in Situ di Daniel Buren (1987-97), White Bands in a Black Room di Sol Lewitt (2002), Nord, Sud, Est Ovest Giocano a Shanghai di Luciano Fabro (1989).
In prestito temporaneo è, invece, Io e Zeus di Cy Twombly (1963), per gentile concessione della tedesca Galerie Karsten Greve Ag, che potrebbe aprire le porte al meccanismo virtuoso del comodato d’uso. I progetti di Bellerger suonano promettenti, in particolare alla luce dei risultati ottenuti in meno di un anno di mandato, in quello che appariva un Museo dalle altissime potenzialità ma abbandonato a se stesso.
Bellerger si è già prodigato al fine di prolungare gli orari di visita e di migliorare i collegamenti, per quello che punta ad essere una fonte di turismo diversificato e di guadagno. Alla francese, desidera coinvolgere e responsabilizzare la cittadinanza, facendo della Residenza e del Parco borbonici qualcosa di loro interesse. Pensa a esposizioni temporanee che – magari con l’ausilio della tecnologia – facilitano la conoscenza della collezione permanente da parte del pubblico, un pubblico che è necessario svecchiare.