Standard & Poor’s: assetto UE da cambiare

Che l’Unione europea abbia un’urgente necessità di essere trasformata profondamente nella sua struttura istituzionale, ce ne eravamo accorti da tempo. Soprattutto dopo gli eventi scottanti dell’ultimo anno quali immigrazione, attentati terroristici e Brexit, un sempre maggior numero di politici e analisti ha auspicato un radicale cambiamento nel modo in cui l’UE viene amministrata. E’ palese come sia necessaria una risposta chiara da parte dei capi di governo nazionali ed europei, per restituire l’Europa ai suoi cittadini ed evitarne il collasso definitivo.

Alle voci provenienti da politica e opinione pubblica, lo scorso 25 luglio si è inserita nelle discussioni anche Standard and Poor’s (S&P), una delle tre principali agenzie di rating del mondo, con sede negli Stati Uniti. In base alle ultime analisi finanziarie sul continente, l’agenzia ha annunciato di aver abbassato di un gradino il rating dell’Unione europea da un valore AA+ ad AA, spiegando che tale scelta deriva dalle incertezze conseguenti al voto del Regno Unito in favore della Brexit. Nella nota di S&P si legge: «Abbiamo rivalutato la coesione all’interno dell’Unione europea, che ora consideriamo come un fattore neutrale e non più positivo». Detto in altre parole, l’agenzia teme che le nuove e complicate trattative tra Europa e Regno Unito potranno rendere meno stabile il bilancio dell’Unione, indebolendone la flessibilità e introducendo incertezze sulle stime di bilancio.

La principale critica che Standard & Poor’s muove all’UE riguarda il modo in cui è strutturata: «Così come opera attualmente, l’UE non rappresenta un insieme coerente di sovranità statali», essendo quindi insostenibile nel lungo periodo. «Al momento ci sono troppi attori ed eventi in corso nella politica elettorale dei 28 Stati membri, con sviluppi politici ed economici impossibili da prevedere».

Appena tre giorni prima del referendum sulla Brexit, S&P aveva già declassato la Gran Bretagna dal rating AAA, mostrando come le analisi nazionali avessero già notato una sofferenza generale del sistema Europa. In tal senso, il sì britannico dovrebbe essere visto come “un campanello d’allarme per il resto dell’Unione”. Ma quali soluzioni proporrebbe Standard and Poor’s per risollevare l’attuale situazione stagnante del governo dell’Europa?

Secondo Paul Sheard, capo economista dell’agenzia, l’Europa ha davanti a sé due opzioni fondamentali: da un lato scegliere di accentrare su di sé maggiore sovranità politica, rendendo l’unione più solida e coerente. Dall’altro, fare in modo che gli Stati membri ritornino ad assumere il pieno controllo in alcuni settori attualmente regolati a livello sovranazionale, trasformando però l’Unione europea in una federazione politica ed economica più blanda. Quale opzione sarebbe la più efficace? In realtà, non è stato detto niente di nuovo, rispetto a ciò che già sappiamo.

Di certo la risposta non dovrebbe giungere da un’agenzia di rating statunitense, che come ben sappiamo fa il bello e il cattivo tempo su aziende, Stati e governi locali di tutto il mondo con le sue “pagelle” finanziarie a sangue freddo. C’è chi comincia a dubitare dell’effettiva utilità di tali superpotenti agenzie di rating, definendole dannose e inutili. Già nel gennaio del 2012, infatti, suscitò  molto scalpore il declassamento di tantissimi Stati UE da parte di Standard & Poor’s: esclusi dal downgrading furono solo Belgio, Olanda, Lussemburgo e Germania, mentre l’Italia perse addirittura due punti; fu minacciato per di più quel default alla Grecia che alla fine non c’è stato. In quell’occasione Mario Draghi, presidente della BCE, affermò: «Bisognerebbe imparare a vivere senza le agenzie di rating, o quanto meno imparare a fare meno affidamento sui loro giudizi».

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