Miseria e nobiltà (Film, 1954)

Mario Mattòli (1898-1980), avvocato mancato e regista diligente, confeziona ottantacinque pellicole, da Tempo massimo (1934) a Per qualche dollaro in meno (1966). Si tratta di uno dei nostri più validi artigiani, vituperato da una critica barbara e incolta ma padrone di una tecnica sopraffina. Dirige sedici film di Totò, come ne dirige molti di Franco & Ciccio, ma ha la grande umiltà di dire: “Io non ho inventato mai nessuno, ho solo lavorato tanto”. Callisto Cosulich afferma: “Mattòli era un campione del lasciar fare, non pretendeva di modificare la recitazione degli attori. Per questo è stato uno dei migliori registi di Totò. Si limitava a sfruttare il talento naturale”. Non condivido in toto l’impostazione teorica dell’illustre critico, perché Mattòli in diverse occasioni si dimostra ottimo direttore di attori realizzando commedie corali complesse.

Miseria e nobiltà vede Totò vestire i panni di un azzeccato Felice Sciosciammocca, che fa lo scrivano e campa di espedienti nella Napoli di fine Ottocento, dimostrando una volta di più la sua bravura quando è sostenuto da un valido soggetto. Edoardo Scarpetta sta alla base di Miseria e nobiltà, un autore minore che Totò ama molto, come lo ameranno Edoardo e Luca De Filippo, ma pure Raffaele Viviani, al contrario di Totò registi di loro stessi. Scarpetta è autore di teatro che proviene da Petito (altro minore napoletano), dalla commedia dell’arte e da Pulcinela, correggendo il tutto con la pochade francese alla Labiche. Scarpetta non scrive farsa borghese ma sottoproletaria, di lui Totò porterà al cinema anche Un turco napoletano, Sette ore di guai e Il medico dei pazzi.

Miseria e nobiltà è uno straordinario e felice esperimento di teatro al cinema, in parte puro metateatro perché abbiamo il pubblico che assiste alla commedia e in alcune sequenze i personaggi interpretano balletti e momenti di teatro sul palcoscenico. Tutto girato in teatri di posa con splendide ricostruzioni di esterni napoletani di fine secolo, si ricorda per un tragicomico primo atto dove ogni battuta evoca la fame atavica dei protagonisti, fino alla straordinaria sequenza dell’abbuffata di spaghetti.

Totò è lo scrivano Felice Sciosciammocca che divide la casa con il figlio Peppiniello e l’amico Pasquale (fotografo di strada spiantato), due famiglie in un misero interno, unite dalla fame e dalla miseria. Una miseria che si trasforma in finta nobiltà quando il marchesino Eugenio – innamorato della bella Gemma – chiede ai poveracci di travestirsi da suoi nobili familiari per chiedere in sposa la fascinosa ballerina. A casa del futuro consuocero la situazione si complica in pochade con travestitismo e scambio di coppie, fino alla soluzione finale – vero e proprio deus ex machina! – con l’arrivo del vero genitore, pure lui spasimante della ballerina. Colpi di scena a ripetizione, il sale del teatro napoletano e della pochade, per un secondo atto che non vale il primo, ma resta valido esempio di comicità farsesca. Apprezziamo storie di ricchi e nobili che vogliono sposare belle ragazze povere e affascinanti ballerine, come da lezione del neorealismo rosa. Commedia degli equivoci a non finire che vede Totò mattatore, ma si ricordano anche un’affascinante Sophia Loren nei panni della ballerina, Carlo Croccolo imbranato fratello, Enzo Turco valida spalla comica e una giovane Franca Faldini (futura moglie di Totò) nei panni di una modista. Un bel quadro della Napoli fine secolo ricco di personaggi prelevati dalla strada e dalla commedia dell’arte con un finale in bagarre che vede tutti i personaggi sulla scena e il capo comico salutare il pubblico come da tradizione teatrale.

Molte le sequenze memorabili. Totò scrive una lettera e schizza d’inchiostro l’interlocutore, quindi lo caccia via quando scopre che non ha una lira. Il provvidenziale arrivo del marchese con un cuoco che pare l’incursione d’un sogno nella povera casa, una zuppiera in primo piano ricolma di spaghetti al pomodoro, i poveracci che si abbuffano, mangiano con le mani, saltano e danzano sul tavolo, con Totò che si riempie persino le tasche di pasta. Totò che mangia il gelato a casa del finto consuocero con la faccia sporca di crema, ma anche quando mangia con i guanti in cucina e accetta l’invito di andare a pranzo in quella casa per ben due anni. Battute memorabili: Moglie di Totò: “Non devi fare il cascamorto!”. Totò: “Io se casco, casco morto dalla fame!”. Fotografia in quattro colori di Trasatti e Strauss. Colore – al massimo per i tempi – della Ferraniacolor.

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Regia: Mario Mattoli. Soggetto. Edoardo Scarpetta (commedia omonima). Sceneggiatura: Ruggero Maccari. Fotografia: Luciano Trasatti, Karl Strauss. Montaggio: Roberto Cinquini. Musiche: Pippo Barzizza. Scenografie: Alberto Boccianti, Piero Filippine. Produzione: Carlo Ponti e Dino De Laurentiis per Excelsa Film. Produttore Esecutivo: Alfredo De Laurentiis. Durata: 95’. Colore. Ferraniacolor. Interpreti: Totò, Dolores Palumbo, Enzo Turco, Valeria Moriconi, Franca Faldini, Liana Billi, Franco Sportelli, Gianni Cavalieri, Sophia Loren, Carlo Croccolo, Giuseppe Porelli, Franco Pastorino, Franco Melidoni, Giulia Melidoni, Enzo Petito, Dino Curcio, Nino Di Napoli, Nicola Maldacea jr., Franco Caruso, Leo Brandi.

©Futuro Europa®

 [NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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