Dual Use Tech, Industria vs Commissione UE

Negli ultimi mesi il dibattito nell’Unione europea ha riguardato non soltanto le già note questioni di terrorismo e immigrazione, ma anche delle decisioni da prendere a livello comunitario che possono modificare non di poco l’assetto industriale ed economico degli Stati membri, andando a colpire direttamente alcuni settori produttivi fondamentali. In particolare, il settore dell’alta tecnologia sta contrastando fortemente una decisione della Commissione UE di modificare l’attuale normativa sull’esportazione dei beni “dual-use”, cioè quelle tecnologie che per la propria struttura possono essere utilizzate sia per scopi civili che militari.

Tramite una recente bozza di legge, la Commissione europea ha intenzione di richiedere licenze speciali per l’esportazione di questi beni, che potrebbero essere utilizzati per violare i diritti umani, in particolare a finalità belliche o di incentivo agli attacchi terroristici. Secondo il Parlamento europeo, il valore delle merci “duali” prodotte in Europa oscilla tra i 26 e i 37 miliardi,  costituendo così il circa il 6% del totale dei beni esportati dalle imprese d’Europa. Per questo motivo, molte organizzazioni industriali avvertono come sia a rischio l’export di una vasta gamma di prodotti commerciali, come apparecchiature di telecomunicazione o smartphone.

Per fare un esempio di cosa siano tali prodotti tecnologici “a potenziale di rischio”, rientrano nella categoria le guarnizioni in Viton, un particolare tipo di gomma a base di fluoro, utilizzate largamente nel comparto  industriale, e molto diffuse anche nei negozi al dettaglio. Se usate per uno scopo diverso dalla tenuta dei tubi dei macchinari industriali, queste guarnizioni possono essere perfettamente utilizzate pericolosi componenti per un impianto nucleare. Come conseguenza della nuova normative UE in attesa di approvazione, tali materiali rischiano dunque di essere bloccati alle frontiere di certi paesi; si tratta tra l’altro di situazioni già note ad alcune piccole e medie imprese italiane, che per dettagli legislativi come questi hanno visto sfumare interi affari.

Il regime di controllo delle esportazioni dall’UE è governato dal Regolamento della Commissione n. 428/2009, che fornisce regole europee comuni, un’unica lista comunitaria di articoli dual-use così come il coordinamento e la cooperazione per l’implementazione del sistema unico in tutta l’Unione europea. Nonostante il Regolamento sia vincolante, gli Stati membri hanno necessità di adottare misure integrative per implementare alcune di queste disposizioni, ad esempio riguardo all’applicazione delle sanzioni; per questo motivo, viene pubblicato a intervalli periodici un aggiornamento dei provvedimenti nazionali.

Le aziende sono preoccupate che le nuove e più severe regole per l’esportazione di una serie di beni, come i sistemi di rilevazione biometrici e i software per la geolocalizzazione, rappresenteranno un giro di vite sul comparto tech europeo, spingendo le imprese alla delocalizzazione. L’allarme per possibili gravi conseguenze sul comparto industriale in Europa è stato lanciato da John Higgins, direttore di Digital Europe, l’associazione che riunisce le grandi imprese del settore internet, come Microsoft e Google, oltre a numerose società IT con sede in diversi Stati membri: «Se saranno imposte queste pesanti condizioni alle aziende europee, è chiaro che saranno poste in condizioni di svantaggio». Con queste parole, Higgins si riferisce alla eventualità in cui, a causa di regole di esportazione così rigorose, le aziende UE sarebbero costrette a delocalizzare la propria sede per trasferirsi ad esempio negli Stati Uniti, causando ingenti danni all’economia europea.

Il rischio, come capita spesso nelle risoluzioni comuni tra Stati membri presso le istituzioni UE, è quello di applicare un eccesso normativo che tende a bloccare il sistema economico invece di renderlo più elastico alle esigenze del mercato globale. Come reazione a questa tendenza, sul tema dei beni duali sono stati anche i governi nazionali a fare pressione sulla Commissione europea: in particolare, stati come Austria, Finlandia, Francia, Germania, Polonia, Slovenia, Spagna, Svezia e Regno Unito hanno diffuso una nota congiunta con la richiesta di abolire la lista di prodotti pericolosi e mediare, piuttosto, un accordo internazionale che coinvolga anche i paesi al di fuori dell’UE. Insomma, staremo a vedere ancora una volta se le leggi provenienti dai palazzi di Bruxelles servano a rendere il potenziale economico dell’Europa più competitivo in mezzo ai colossi globali, oppure limitino il Vecchio Continente con regole a difesa della sicurezza ma del tutto miopi rispetto alla crescita economica del suo territorio.

©Futuro Europa®

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