Africa, tra emergenza alimentare e obesità
In Africa, l’emergenza alimentare porta anche all’obesità. E’ questa la parte di mondo che conosce la più grande emergenza alimentare: 220 milioni di persone vivono una situazione di cattiva alimentazione, soprattutto in Africa sub-sahariana. La natura stessa di questo problema evolve rapidamente, e la comparsa del sovrappeso e dell’obesità vanno paradossalmente ad aggiungersi alla malnutrizione. Ma le politiche sulla salute pubblica di questi Paesi non sembrano affatto adattarsi a questi nuovo dati. L’insicurezza alimentare deriva dal fatto di essere troppo poveri per poter produrre i propri alimenti o poterli comprare. Non parliamo di alimenti qualunque. Secondo la FAO, ogni individuo necessita di “un’alimentazione sufficiente, sana e nutriente per portare avanti una sana vita attiva”. Le politiche attuali concentrano i loro sforzi sulla crescente produzione alimentare così come una maggiore accessibilità al cibo. Ma non prestano molta attenzione agli aspetti sistematici che guidano le scelte degli individui. Ora questo potrebbe costituire un’aggravante.
La riflessione sulla questione dell’emergenza alimentare in Africa è a un punto morto, anche se sempre più voci si alzano per reclamare degli approcci più sfumati. In effetti si pensa generalmente che coloro che soffrono maggiormente questa situazione siano i poveri, gli affamati, chi non può comprarsi da mangiare. Un altro luogo comune vuole che la persone obese siano sovrappeso e in cattiva salute a causa di ciò che mangiano: sarebbero anche responsabili per i loro alimentarsi male. Questo porta a pensare che basterebbe educare le persone sul piano nutrizionale per aiutarle a fare scelte migliori. Ma le due interpretazioni dei fatti sono entrambe faziose. Perché l’emergenza alimentare risponde a precisi criteri economici e geografici. Nella zona sub-sahariana, il 33% degli adulti sono sovrappeso e più dell’11% è obesa. I tassi di malattie non contagiose legate all’alimentazione conoscono una crescita che va di pari passo con la rapida urbanizzazione, alla povertà metropolitana e ai rapidi cambiamenti nei regimi alimentari.
L’obesità colpisce tanto i ricchi quanto i poveri. Nei Paesi sviluppati, i tassi di obesità si stanno stabilizzando, mentre continuano a crescere nei Paesi in via di sviluppo. E tutto questo ha, ovviamente, gravi conseguenze: nel 2010 il sovrappeso e l’obesità hanno provocato la morte di quasi tre milioni e mezzo di persone. I tassi di obesità non sono duplicati o triplicati in questi ultimi decenni perché le persone hanno deciso spontaneamente o collettivamente di fare cattive scelte alimentari. I Paesi più disagiati si nutrono male per motivi economici. In Sudafrica, il sistema alimentare è in mano poche grandi imprese, le Big Food. La liberalizzazione degli scambi ha permesso l’importazione di un’alimentazione industriale di pessima qualità; le grandi compagnie private che vendono tali prodotti possono ormai esercitare la loro pressione sulle autorità.
Le alternative sane, come gli alimenti con pochi grassi, sono generalmente più onerose; gli alimenti con qualità nutrizionali mediocri, perché saturi di zucchero e glucidi raffinati, sono molto meno cari. Viceversa, il prezzo degli alimenti freschi è cresciuto molto più rapidamente di quello dei prodotti industriali. La logica economica si trova rafforzata dal marketing e dalla pubblicità che inviano messaggi contraddittori. Le società che vendono bibite o le catene di fast food si associano spesso ad eventi sportivi e veicolano un’immagine di vita sana ed equilibrata; le scuole che promuovono regimi alimentari equilibrati, ospitano anche rivenditori di leccornie e cibo spazzatura. I più poveri hanno anche poche possibilità di conservare al fresco il cibo, cosa che riduce ulteriormente le loro scelte alimentari. Pensare che i più deboli possano essere responsabili del loro rispondere logicamente ad un problema di ordine sistemico non aiuta, e l’educazione nutrizionale da sola non può cambiare il modo in cui le persone si alimentano. I Governi devono spostare la loro attenzione dagli individui ai sistemi nei quali questi evolvono. Bisogna anche saper trarre le conseguenze dovute a situazioni nelle quali politiche sanitarie virtuose si trovano messe in secondo piano in nome della crescita economica che va a privilegiare i prodotti industriali.
Il ministro delle finanze sudafricano, Pravin Gordhan, ha recentemente dichiarato che il Paese avrebbe messo una tassa sulle bibite a partire dal 2017. Le industrie dello zucchero ha immediatamente replicato che si trattava di una decisione che avrebbe avuto conseguenze economiche disastrose e avrebbe penalizzato anche i più poveri. Questo è in parte vero. Voler controllare gli alimenti nocivi alla salute senza creare prima un sistema che inciti a consumare alimenti più sani non porta a nulla. Lo stesso vale se non si risolve il problema di accesso, conservazione, refrigerazione e trasporto di quegli alimenti sani che potrebbero essere scelti in alternativa grazie alla competitività del loro prezzo. Alzare il prezzo delle bibite colpirebbe solo i meno abbienti.
L’emergenza alimentare in Africa deve essere considerata in un sistema alimentare più ampio, così come l’alimentazione è strettamente collegata all’economia e a tutte le variabili che vi ruotano intorno. E’ quindi necessario riconfigurare le politiche riguardanti la salute pubblica e concentrarsi sulla natura e la dinamica dei sistemi alimentari. Altrimenti, si rischia solo di accelerare la transizione da una forma di emergenza alimentare ad un’altra.