Cronache dai Palazzi
L’emergenza dettata dal sisma del Centro Italia ha sconvolto l’agenda politica degli ultimi giorni. Abbandonando per un po’ il dibattito europeo post Brexit e gli annessi quesiti sulla flessibilità – compresa l’emergenza migranti – tutta l’Europa si è unita al nostro Paese in segno di cordoglio.
“Ora è il tempo delle lacrime, del dolore senza fine, non delle polemiche. Ma la credibilità e l’onore di tutti sarà nel garantire una ricostruzione vera e con tempi certi.” Con queste parole il premier Matteo Renzi promette di riportare la gente abbattuta dal sisma nei loro borghi. In pratica niente new-town come a L’Aquila e, soprattutto, tempi di ricostruzione diversi, non lunghissimi. Subito dopo aver visitato le città devastate dal terremoto, commentando il “disastro immane”, il presidente del Consiglio ha inoltre sottolineato “l’unità”, narrando un “Paese che in questi momenti è come una famiglia che si stringe attorno alle popolazioni colpite e risponde con cuore grande, coraggio”. Un Paese che “mostra il volto più bello della solidarietà”. Una solidarietà ampiamente dimostrata anche da vari leader: Obama, Merkel, Hollande, Putin, Juncker, e altri leader europei “pronti ad aiutare in ogni modo”.
Renzi a sua volta avverte: “L’emergenza avrà un lungo periodo di gestione, dovremo essere all’altezza di questa sfida per settimane e mesi”. Nel contempo l’Unione europea, discostandosi da ogni tipo di ristrettezza, promette aiuti finanziari e spese al di fuori del Patto di Stabilità, per sostenere gli sfollati e per ricostruire alcune infrastrutture essenziali, oltre all’offerta immediata di assistenza alla protezione civile italiana per gestire l’emergenza.
Jean-Claude Juncker ha promesso di fare “tutto quanto possiamo”, per soccorrere l’Italia sorpresa dall’ennesimo sisma. “Assicuriamo solidarietà alla nazione italiana”, ha scritto il presidente della Commissione Ue in una lettera inviata a Renzi. Anche l’Alto rappresentante Federica Mogherini ha ribadito che l’Unione europea “si è subito mobilitata con l’offerta di aiuti” ed è disposta a fare molto di più. L’aiuto finanziario più consistente dovrebbe provenire dal Fondo Ue di solidarietà, attraverso il quale la Commissione Ue potrebbe cofinanziare la ricostruzione rapida di infrastrutture essenziali (energia, acqua, trasporti, telecomunicazioni, sanità, scuole), gli alloggi temporanei della popolazione e l’intervento dei servizi di emergenza, la messa in sicurezza di dighe, la protezione di monumenti e le operazioni di pulizia.
Il Fondo Ue di solidarietà è stato creato nel 2002 ed è stato usato anche per i terremoti in Abruzzo (493 milioni forniti dalla Commissione su oltre 10 miliardi di danni diretti) e in Emilia Romagna (670 milioni su 13 miliardi spesi dall’Italia). Attualmente il governo italiano ha 12 settimane dal giorno del terremoto nel Centro Italia per quantificare i danni del sisma, e richiedere le risorse del Fondo Ue di solidarietà che devono inoltre essere approvate dall’Europarlamento e dai governi dei 28 Paesi membri. Le risorse concesse dall’Unione europea per gestire l’emergenza terremoto saranno considerate “una tantum” e quindi non rientreranno nell’aggiustamento strutturale di bilancio richiesto dal Patto di Stabilità. In un documento della Commissione del 5 luglio scorso sono chiaramente specificate le linee guida per applicare il Patto di Stabilità: gli obiettivi di bilancio degli Stati membri sono “aggiustati per tenere conto di eventi di ampia scala che richiedono una risposta finanziaria, come i disastri naturali”.
Il governo italiano, invece, ha a sua volta lanciato il progetto “Casa Italia” adottando un decreto per lo stato di emergenza e stanziando 50 milioni per la Protezione civile (la Regione Lazio ha già messo a disposizione 6 milioni). Il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan ha inoltre ribadito il provvedimento che congela le scadenze fiscali nelle zone terremotate. “Il blocco delle tasse è solo una misura iniziale”, ha sottolineato Renzi. Nei confronti dei “connazionali” colpiti dal terremoto lo Stato ha “un impegno morale” perché “quei borghi devono avere non solo un ricordo ma anche un futuro”, ha aggiunto il premier ricordando che “dal presidente della Repubblica è arrivato un messaggio di grande responsabilità” per di più “condiviso dalla maggioranza dell’opinione pubblica”.
Con una visione bipartisan Renzi ha infine ribadito la necessità di provvedere ad “un progetto capace di affrontare la cultura della prevenzione antisismica. Un progetto in cui tutti si possano riconoscere”. Tutto ciò anche perché è “difficile pensare che quello che è successo potesse essere affrontato soltanto con una diversa tecnica edilizia ma l’Italia deve avere una visione che non sia solo emergenziale”. Abbandonando quindi, anche se per un breve e doveroso lasso di tempo, le polemiche sul referendum costituzionale tutte le forze politiche si stringono intorno all’operazione di ricostruzione materiale e sociale dei paesi distrutti dal sisma della notte di mercoledì 24 agosto, perché “deve essere una priorità per l’Italia”. I fondi stanziati dovranno inoltre essere spesi nel migliore modo possibile evitando ogni rischio legato alla corruzione, e rispettando quindi le regole dell’Anticorruzione guidata da Raffaele Cantone: “Il modello Anac può essere applicato anche alla ricostruzione”, ha sottolineato Renzi. Emergenza, ricostruzione e anticorruzione sono in definitiva le leve del progetto strategico e ambizioso denominato “Casa Italia”.
Accantonati quindi per il momento i giudizi sulla flessibilità che l’Europa nei giorni scorsi ha preannunciato anche all’Italia, nazione che rimane comunque un osservato speciale. L’esecutivo comunitario si esprimerà di nuovo a novembre sul rispetto della regola del debito. “Le finanze pubbliche devono essere sane, altrimenti non si ha spazio fiscale”, per gli investimenti o le emergenze finanziarie, dichiarano fonti comunitarie. Il presidente della Commissione Jean-Claude Juncker intende infatti puntare sugli investimenti ritenendoli “l’architrave” della crescita e funzionali all’incremento dei posti di lavoro. In settembre la Commissione Ue dovrebbe varare un’ulteriore proposta con l’obiettivo di prolungare gli effetti dell’attuale piano Juncker (315 miliardi di investimenti pubblici e privati per 3 anni) fino alla fine della legislatura nel 2020, incrementando nel contempo le risorse a disposizione. Si potrebbe arrivare a 500 miliardi in cinque anni. In un anno il piano Juncker avrebbe già mobilitato più di 120 miliardi tra investimenti pubblici e privati rispettando così gli obiettivi prefissati.
Juncker e i suoi collaboratori intendono inoltre esportare il piano al di fuori dei confini Ue in primo luogo per lottare contro le cause dell’immigrazione. Così se il Migration Compact proposto dall’Italia non potrà decollare per una radicale opposizione della Germania, la Commissione intende usare i fondi a disposizione per realizzare progetti di sviluppo in Africa. Il nuovo Fondo per gli “investimenti esterni” potrebbe mettere in moto più di 60 miliardi. Gran parte delle risorse di sostegno dovrebbero essere impiegate prestando “attenzione speciale” ai progetti che mirano al miglioramento della gestione dell’immigrazione e all’incremento dei rimpatri. Al di là dei vincoli imposti alla flessibilità, per la Commissione di Juncker l’obiettivo primario è quindi una più efficace gestione dei flussi migratori con la dimostrazione di sostenere il nostro Paese, interfaccia dell’Europa nel fenomeno immigrazione.