Cina, Vietnam e le isole Spratly

Negli ultimi mesi, i lavori svolti dalla Cina nell’arcipelago delle Spratly, un insieme di isolette e scogli del Mare della Cina meridionale, hanno fatto parlare molto di loro sulla stampa locale. I rilievi fotografici satellitari lo hanno confermato, Pechino crea isole artificiali per creare sue attività, soprattutto strategiche e quindi potenzialmente militari. Ma altre immagini catturate recentemente mostrano che il Vietnam raccoglie sabbia, anche se su scala minore. Qualche cenno storico per capire l’importanza di queste attività.

Occupare “terre senza padrone” perse nel mare. Abitarle, amministrarle, e infine rimaneggiarle per aumentare la loro superficie e far loro superare nettamente il livello del mare.  E’ così che nel corso degli anni, in futuro potrebbe diventare sempre più difficile contestare che tale o tal altra scogliera corallina del Mar della Cina meridionale, trasformata in isola artificiale, appartenga a un qualche Stato, offrendo potenzialmente all’attribuzione di quel determinato Stato le acque circostanti e le risorse che vi si nascondono (idrocarburi, flora, fauna…). La polderizzazione, è diventata un leitmotiv dei conflitti territoriali nel Sud Est asiatico, e un mezzo per avere da replicare a lungo termine, anche militarmente, sui floridi affari di un incrocio marittimo sempre più necessario in un momento di grande ripresa per l’Asia nella corsa alla mondializzazione. Anche un buon mezzo per adulare l’ego delle Nazioni, essendo il nazionalismo un fattore non trascurabile per capire le posizioni dei Paesi in questa parte di mondo. Infine, è un mezzo per assicurarsi approvvigionamenti futuri in pesce, o guano, ma anche in gas e petrolio, se questo mare nasconde veramente queste risorse, come si suppone da almeno mezzo secolo.

Negli ultimi tempi, nel cuore dell’arcipelago particolarmente conteso delle Spartleys, è Pechino che si è fatta notare maggiormente, costruendo a tutto spiano infrastrutture nei quattro angoli dell’arcipelago, con una sorta di strategia del “fatto compiuto”. Pa presenza cinese si traduce ormai con una serie di istallazioni civili, ma anche potenzialmente militari, visto che si parla di fari, porti, ma anche radar o piste di atterraggio di più di 3 chilometri di lunghezza. La Repubblica Popolare di Cina rivendica la sovranità assoluta sulla quasi totalità del Mar della Cina meridionale, dalle isole Paracel alle Spratly. Sbandiera i suoi diritti storici e la pesca tradizionale, nell’ambito della sua grande storia marittima, le cui gesta e azioni sono parzialmente conosciute grazie ad antiche trascrizioni. Certamente la CNUDM, Convenzione della Nazioni Unite sul Diritto del Mare, tratta questi aspetti, nei suoi articoli 15, 51 e 298, ma non abbastanza chiaramente e non senza contraddizioni. L’ambizione territoriale cinese, giudicata esagerata, non ha quindi mai, si presuppone, conquistato l’adesione dei suoi vicini. Tanto più che i pescatori e la guardia costiera cinese si avventurano ovunque la Cina pensi essere a casa sua, e anche oltre.

Quando i cinesi hanno pianificato il loro grande ritorno nelle Spratly, alla fine degli anni ’80, hanno intelligentemente scelto di basarsi su di  una decisione della Commissione oceanografica iter-governativa dell’UNESCO, e portare avanti l’idea di creare una postazione di osservazione della vita marina in loco. Ovviamente questo non è bastato a calmare i vecchi rivali di Pechino che, all’epoca, rivendicavano già tutta, o parte dell’arcipelago. Alla fine degli anni ’80, Paesi come Vietnam e Filippine –  seguiti nel tempo da Taiwan, Brunei e Malesia – occupavano già da molto tempo delle isole e degli scogli nell’arcipelago delle Spratly. Anzi, qualcuno aveva già modificato la configurazione dei luoghi che controllava.

Lo testimonia un lungo articolo di Le Monde del 12 Maggio 1978. Dedicato alla politica delle Filippine nelle Spratly, il reportage cominciava così: “Nell’ufficio del Commodoro Fernandez, comandante in capo delle forze Occidentali, dei sodati, sulla cui maglietta si legge la scritta ‘occupiamo e combattiamo’, ridipingono una grande carta murale della zona. A Sud-Ovest di Palawan si vede l’arcipelago delle Kalagan, nome filippino delle Pratleys. Il Presidente  Marcos, ha recentemente affermato che le Filippine controllavano sette isole delle Kalagan. I pittori tracciano con minuzia il nome dell’ultima, che non era menzionato nell’ultima cartina: Panata. Di fatto quest’isolotto non figura su alcuna carta, neanche sulle mappe  nautiche della guardia costiera di Peurto Princesa. E’ infatti nato da poco (…) le Filippine hanno terrapienato un atollo colpito dall’alta marea e ora l’esercito occupa l’isolotto che ha creato, ci pianta dei cocchi e lo fortifica”.

Quando i cinesi sono tornati nelle Sratleys,  10 anni dopo la pubblicazione dell’articolo di Le Monde,  non sono i Filippini ad essersi opposti con più insistenza alla loro presenza. Ma i vietnamiti. Il loro regime comunista era all’epoca il principale oppositore di Manila, nazionalista e pro-americana. Il Vietnam era presente nell’arcipelago dai tempi del Vietnam del Sud, con il regime nazionalista del defunto Presidente Nguyen Van Thieu, che si era anche lui sulle proprie convinzioni storiche, rafforzate dall’eredità simbolica lasciata dalla potenza coloniale francese, ma in totale contraddizione con le certezze cinesi. Di fronte a questi avversari molto ostili, la Cina è arrivata ad utilizzare la forza. Era il 18 Marzo del 1988, quando, dopo alcuni incidenti avvenuti durante delle battute di pesca, ci fu una sanguinosa battaglia navale intorno alla scogliera di Johnson South. Da allora, 30 anni dopo, Johnson South è ancora sotto controllo cinese, che ospita  una sua isola artificiale, con lo stesso criterio dell’osservatorio per la vita marina creato da Pechino alla fine degli anni ’80 sull’atollo Fiery Cross. Oggi “l’osservatorio” è molto lontano dall’assomigliare ad un luogo dal quale studiare i pesci e i coralli (tra l’altro un fragile ecosistema minacciato dagli stravolgimenti cinesi).

Ma in materia di “polderizzazione”, se la Cina agisce in grande, non ha inventato nulla. Le Filippine lo hanno fatto, i malesi pure (anche se a scala ridotta). Per quanto riguarda i vietnamiti, se hanno perso Johnson South nel 1988, gli rimangono numerosi altri isolotti e atolli. E alla Cina piace ricordarlo con insistenza: anche loro si sono messi a polderizzare da diversi anni. Un’affermazione che è stata dimostrata in modo inedito, dal sito internet Asia Maritime Transparency Initiative (AMTI), strumento creato dal gruppo di studio e d’influenza Center for Strategic and International Studies (CSIS), che ha base a Washington  ed è molto concentrato sulla situazione delle Spratly. Grazie alle immagini satellitari, AMTI ha registrato ogni singolo isolotto che il Vietnam occupa nelle Spratly e vi ha trovato prove di operazioni di riempimento e pulizia in 10 di essi. Ma se il Vietnam ha polverizzato più postazioni rispetto alla Cina popolare, questa ha conquistato dal nulla una superficie che non ha nulla a che vedere con quella guadagnata dal Vietnam: 3000 acri contro 120 ( 12Kmq contro 0,5).

Inoltre, “i lavori del Vietnam sono stati molo meno dannosi per l’ambiente”, sottolinea l’AMTI. In questo gioco di tira e molla che da decenni anima la quotidianità della vita del Mar della Cina Meridionale e che stravolge spesso ogni riflessione sul futuro delle relazioni tra superpotenze mondiali nel Pacifico, si può sperare un giorno vedere le parti in causa trovare un terreno fertile per la cooperazione?  Vista la Storia che si è svolta in quei luoghi,  teatro della Seconda Guerra Mondiale ai tempi della grande potenza Giapponese e della mondializzazione degli scambi e delle interdipendenze nel contesto attuale, nessuna soluzione è certa. La Storia attuale dell’arcipelago si scrive giorno per giorno. Anche perché in questa partita entrano sempre più in gioco i bilanci militari. Un  esempio? Nella lista redatta dalla Stockholm International Research Institute (SIPRI) sui 10 maggiori importatori di armi degli ultimi 5 anni, il Vietnam fa un’entrata che non passa inosservata: da 43° importatore tra il 2006 e il 2010, è passato in 8° tra il 2010 e il 2015. Ossia, le importazioni di armi di Hanoi sono aumentate del 699%. Caso unico nella storia. Stesso trend per l’acquisizione di sottomarini, navi, aerei da combattimento.

La Cina non è da meno, perché è tornata ad essere a tempo di record la terza flotta navale del Mondo, in procinto di superare la Russia e raggiungere gli Stati Uniti. E’ anche un grande esportatore di armi, e cresce. Soprattutto, secondo i dati SIPRI, le spese militari di Pechino sono aumentate in modo esponenziale negli ultimi 25 anni. Nel 2014 erano 10 volte maggiori che nel 1988: 200miliardi contro 18. Nella regione, la questione dei sottomarini, come lo dimostra la moltiplicazione dei contratti, sembra essere la scommessa di domani. Anche perché di Pechino non si sa nulla, o molto poco: ormai non compra soltanto, ma costruisce. I sottomarini cinesi, che possono far notare la loro presenza nelle acque un tempo frequentate unicamente dalle grandi potenze, hanno base a Sanya, sull’isola di Hainan, appena sopra le isole Paracel. Sul posto, gli osservatori hanno notato la presenza di istallazioni di demagnetizzazione, cosa che permette ai cinesi di guadagnarci in invisibilità. Nessun dubbio che le profondità delle acque meridionali riveste un interesse che non può essere sottovalutato, ennesimo motivo per controllare quel mare da tutte le direzioni.

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