Shimon Peres, biografia breve di un Nobel per la pace
Nella sanguinosa faida tra israeliani e palestinesi – spesso a corrente alternata, ma sempre pronta a esplodere con violente impennate – ci sono personaggi che hanno lavorato anche per un futuro di pace. Shimon Peres era fra questi.
Peres, ex presidente d’Israele dal 2007 al 2014, è deceduto mercoledì scorso, all’età di novantatré anni, a causa di un’ischemia cerebrale, dopo quindici giorni di ricovero ospedaliero in stato comatoso indotto. Di origini polacche, emigrò in Palestina nel 1934, cinque anni prima dell’occupazione nazista della Polonia. Approcciò giovane alla politica, divenendo un importante esponente del Partito Laburista Israeliano, di cui assunse l’ininterrotta leadership dal 1977 al 1992, proseguita – in maniera più discontinua – fino al 2005. Fu più volte premier, ministro degli Esteri, della Difesa, delle Finanze e dei Trasporti. Da subito a contatto con David Ben-Gurion, Padre fondatore d’Israele e leader dell’Organizzazione Sionista Mondiale, ne divenne grande sostenitore e stretto collaboratore, condividendo l’obiettivo della formazione di uno stato ebraico indipendente. Fu, dunque, politico di spicco e soldato: nel corso della lotta per l’affermazione della legittimità a esistere d’Israele, conseguì importanti successi militari, come la Campagna del Sinai.
Tuttavia, Peres non è stato solo un fedele combattente e servitore della patria, ma anche un uomo che ha sfruttato la propria influente posizione per innescare i processi di pace necessari a stabilizzare il lembo di Medio-Oriente più “caldo” del pianeta. Mentre consolidava le forze di difesa israeliane, s’impegnò parallelamente in una fervida attività diplomatica – culminata con i negoziati di pace con l’Egitto – ispirata al principio dell’instaurazione di “rapporti di buon vicinato” con i paesi confinanti, linea di condotta che allentò molte tensioni, in particolare con le popolazioni del sud del Libano. Fautore di reiterati tentativi di risoluzione al problema della Striscia di Gaza, cercò di portare al tavolo dei negoziati anche re Hussein di Giordania e Yasser Arafat, leader dell’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (OLP).
Nel 1993, siglò in Norvegia la Dichiarazione di Principi (DOP), una serie di accordi politici – meglio noti come Accordi di Oslo – frutto d’intese pubbliche e segrete intercorse, dalla Conferenza di Madrid del 1991, tra governo di Tel Aviv e OLP, con lo scopo di mettere la parola fine al conflitto arabo-israeliano.
Per questa sua iniziativa e gli sforzi profusi, lo statista – al pari di Rabin e Arafat – fu, nel 1994, insignito del premio Nobel per la Pace. Al termine della sua carriera politica, continuò attivamente a promuovere il dialogo arabo-ebraico per il tramite della sua Fondazione, il Centro Peres per la Pace di Jaffa.
Messaggi di profondo cordoglio alla famiglia sono giunti dai capi di Stato di ogni angolo di mondo, rispettoso omaggio a un falco divenuto colomba, a un uomo che aveva capito – queste le sue testuali parole – che “non c’è alternativa alla pace e fare la guerra è senza senso”.