UE-ONU, lo stato delle relazioni
Questa settimana è stata per l’Unione europea un’ulteriore occasione per valutare le condizioni attuali della propria influenza sulle questioni geopolitiche del continente, oltre al suo impatto sullo scenario globale. In qualità di organizzazione internazionale, l’UE ha partecipato a una serie di eventi organizzati a New York dalle Nazioni Unite. Il 19 settembre ha avuto luogo il summit Addressing Large Movements of Refugees and Migrants, fortemente voluto da Barack Obama, per prendere una decisione collettiva sulla gestione dell’emergenza migratoria, ormai divenuta un fenomeno di portata mondiale. Dal 20 al 29 settembre, inoltre, gli oltre 150 capi di Stato e di governo hanno preso parte alla 71esima Assemblea Generale delle Nazioni Unite, che ha analizzato il tema dei migranti da diversi punti di vista: affrontare le cause profonde della fuga dei popoli, porre le basi per una futura collaborazione tra enti sovranazionali e governi, sfruttare il capitale umano dei rifugiati come una risorsa preziosa, gestire la vulnerabilità dei migranti garantendone il rispetto dei minimi diritti di dignità umana.
Un’occasione del genere rappresenta il palcoscenico ideale per misurare il calibro dell’UE sulla questione migranti. Perché l’impressione è, che pur essendo impegnate da più di un anno a risolverne l’emergenza, le istituzioni europee siano ora andate a partecipare ai meeting di chi forse ha realmente il potere di entrare in azione, cioè l’Onu in collaborazione con gli Stati Uniti. E difatti l’immagine che ha dato l’Unione europea al summit newyorkese è quella di un’entità debole e disunita, dopo il fallimentare vertice di Bratislava. Anche Matteo Renzi ha colto l’occasione del summit Onu per tuonare nuovamente contro l’Unione: «Se l’Europa continua così, l’Italia farà da sola. Juncker dice tante cose belle, ma non vediamo i fatti». E nello scenario attuale, intaccato dalle incertezze del dopo-Brexit, l’insuccesso elettorale della Merkel e la vittoria di Putin alle elezioni legislative russe, prendere una posizione forte è più che mai necessario per la sopravvivenza stessa dell’UE come organizzazione credibile nel mondo.
Dando uno sguardo “ufficiale” alle azioni compiute dal 2015 ad oggi sul tema migranti, l’Europa sembra aver svolto positivamente (almeno in parte) i suoi compiti: il patto UE- Turchia ha portato a risultati positivi concreti, con una riduzione dei tentativi di attraversare il mar Egeo e delle morti in mare, mentre sono stati già ricollocati circa 1200 profughi; da ottobre verrà inoltre inaugurata una nuova guardia costiera e di frontiera europea. Ciò che salta all’occhio, tuttavia, è la disomogeneità dell’intero sistema, con un esecutivo UE che stenta a prendere una posizione chiara, e molti Stati come il gruppo Visegrad che cominciano a tirarsi indietro. Secondo Mario Giro, viceministro degli Esteri con delega alla cooperazione internazionale, l’Unione europea deve «trovare il coraggio di fare politica. La Commissione deve fare proposte politiche molto più forti e riprendersi tutto il potere di iniziativa. Gli Stati membri hanno poi preso una botta molto forte con la Brexit. Di questo passo, l’Europa muore».
Sul rapporto UE-ONU entra nel merito Filippo Grandi, l’Alto commissario Onu per i rifugiati, che osserva la questione migranti da un’angolazione più ampia. A suo parere, in questo momento storico l’Europa deve “far ordine in casa propria”, per potersi relazionare con efficienza con gli altri enti intergovernativi: «Il dramma dei rifugiati è globale e necessita risposte globali. Le emergenze più gravi sono altrove, e l’Europa non è al centro di questa crisi». Grandi sottolinea come i dossier veramente urgenti riguardino altre zone del mondo, come il Sud Sudan, il Ciad, il Camerun e la Nigeria, e ancora altre crisi in Yemen e Afghanistan che continuano a mettere gente in fuga. E sul tema della richiesta di aiuti al G20 da parte dell’UE, replica dicendo che la risposta globale al problema migranti in Europa non può essere messa in discussione, ma l’Unione europea deve fare del suo, trovando soluzioni comuni. «Senza condivisione – dice – l’Europa rischia di non essere pronta a sostenere nuove crisi».
Se dunque l’Assemblea Onu negli Stati Uniti ci offre un punto di vista diverso e più ampio sul tema migranti, ci accorgiamo all’improvviso di come i media europei ci abbiano invece raccontato l’emergenza sulle nostre coste come una crisi di proporzioni gigantesche, che potrebbe far crollare l’UE da un momento all’altro, e portare gli Stati membri a vivere in balia di orde di rifugiati o piuttosto di chiudere le frontiere con muraglie, violenza e negazione di ogni diritto umano.
In realtà, forse, ciò che questa Europa sta nascondendo tra le righe è quel tentativo sotterraneo di mantenere lo status quo, trovando soluzioni temporanee “di comodo” e mantenendo in piedi la baracca finché è possibile. Dietro forti interessi di vario tipo, le istituzioni di Bruxelles non possono crollare, e molto probabilmente resteranno attive e funzionanti per lungo tempo. Tuttavia, il vero problema in questione è il graduale annullamento del potere politico degli euroburocrati sulle questioni internazionali, che come abbiamo notato a New York fanno un po’ la figura dei semplici rappresentanti di un continente alla deriva. Ma tanto in Europa siamo “quelli che hanno fondato la cultura e i valori umani universali”, e chi se ne importa se alla fine torneranno a salvarci i soliti americani o le nuove superpotenze economiche emergenti.