Shimon Peres
Il mondo rende omaggio a un grande statista scomparso, Shimon Peres. In Israele, nel generale lutto, Il Governo di Netanyahu, così lontano dalle posizioni del grande leader laburista, è stato il primo a rendergli questo omaggio. Tutto più che dovuto: Shimon Peres non era soltanto l’ultimo dei Padri fondatori di Israele, ma un uomo di pace, protagonista degli Accordi di Oslo e per questo titolare del Premio Nobel. Tutta la sua traiettoria politica è segnata dalla ricerca di una pace sincera e solida coi palestinesi, ricerca che però non ha mai implicato per lui alcuna rinuncia o messa in pericolo delle basi essenziali dell’esistenza e della sicurezza di Israele, delle quali era difensore intransigente.
Di lui ho un ricordo personale che ancora mi emoziona e mi commuove. Agli inizi degli anni Novanta, in pieno conflitto per il Kuwait (nel quale Saddam Hussein tentò di provocare Israele a intervenire lanciando alcuni missili sul suo territorio), ero Capo del Segretariato della Cooperazione Politica Europea a Bruxelles e avevo svolto un discreto ruolo per avvicinare le posizioni di Tel Aviv e della Comunità Europea, rese complesse da reciproche diffidenze e insofferenza. L’Ambasciatore israeliano a Bruxelles, il mio carissimo Avi Primor, mi chiamò un giorno per dirmi che Shimon Peres era di passaggio nella capitale belga e avrebbe voluto farmi una visita.
In quel momento lo statista laburista non occupava cariche di governo (aveva lasciato da non molto il Ministero degli Esteri dopo la vittoria dei conservatori di Begin), ma era pur sempre una delle più grandi personalità del suo Paese e del mondo. Confesso perciò che la richiesta mi lusingò e mi riempì anche di curiosità.
Accompagnato da Primor, Peres mi rese una visita che risultò più lunga e più densa di quanto avessi anticipato. Volle conoscere in dettaglio le posizioni europee, la loro evoluzione, le differenze all’interno della stessa Comunità, le prospettive – a mio avviso – di un ulteriore riavvicinamento, e consigli su quello che avrebbe dovuto fare Tel Aviv per favorirlo. Tutto in lui dava l’impressione dell’intelligenza ma anche di una certa gravità. Ascoltava con attenzione e qualche volta annuiva come per esprimere consenso. Parlava brevemente, in buon francese, ma con un pesante accento mediorientale.
Alla fine della conversazione, gli chiesi di togliermi una curiosità: perché, in un ambiente europeo così pieno di personaggi rappresentativi e di rilievo, egli avesse voluto vedere anche me, che occupavo un incarico non politico, defilato e molto poco noto al pubblico. Con gravità mi rispose: “Perché lei è un amico di Israele”. Sapevo quanta importanza gli israeliani e gli ebrei in generale dessero a questa categoria di “Amico”, e la sua affermazione mi commosse. “E come lo sa?” gli chiesi però. Solo allora sorrise, con una luce di malizia negli occhi: “Non sono più al governo, però i rapporti del nostro amico Primor li leggo lo stesso. Ma questo, per favore, non lo dica a nessuno!”.
Uno a uno, se ne vanno i migliori, i costruttori di pace e restano i mediocri, gli insensati, i fautori di guerra. Israele e il Medio Oriente non saranno gli stessi senza la saggezza di Shimon Peres.