Yahoo al servizio dell’Intelligence USA?
Era già stata, di recente, oggetto di un attacco frontale da parte di hacker, che hanno violato centinaia di milioni di account per predare e clonare le informazioni sensibili ivi contenute. L’azienda avrebbe colpevolmente taciuto la penetrazione, decisione che ha comunque aperto un punto interrogativo sull’efficienza dei sistemi di sicurezza adottati per garantire la privacy dell’utente.
Come se non bastasse, Yahoo, colosso californiano delle telecomunicazioni, si trova ora – alla delicata vigilia di una presunta cessione del core business a Verizon, altro gigante del settore – a doversi misurare con una patata bollente ancor più grossa: aver segretamente passato al setaccio le email dei suoi utenti, su esplicita richiesta delle agenzie d’intelligence statunitensi.
Il nuovo caso informatico è scoppiato per un servizio in esclusiva dell’agenzia di stampa Reuters. Il dossier, redatto grazie alle rivelazioni di ex dipendenti di Yahoo, afferma che il gruppo, nel 2015, avrebbe elaborato e attivato un software in grado di spiare tutte le mail in entrata nelle caselle dei propri utenti, applicando chiavi di ricerca fornite dagli 007 americani, del tipo “frasi specifiche nelle mail o negli allegati”.
Marissa Mayer, Ad del gruppo di Sunnyvale, avrebbe dunque aderito alle direttive di NSA (National Security Agency) e FBI (Federal Bureau of Investigation), provocando forti attriti all’interno del management, culminati – lo scorso anno – con le dimissioni di Alex Stamos, oggi al servizio di Facebook, ma allora capo della sicurezza informatica, all’oscuro che il programma fosse stato applicato dallo stesso vertice aziendale.
Sulla faccenda, si è fatto vivo anche Edward Snowden, un passato da dipendente alla CIA (Central Intelligence Agency) e celebre talpa nello scandalo Datagate, uno – insomma – che di complotti spionistici e programmi di sorveglianza di massa a livello “top secret” se ne intende; con un tweet, l’ex tecnico informatico invita i clienti di Yahoo a chiudere immediatamente i loro account.
Sulla veridicità dello scoop di Reuters, la Mayer avrebbe laconicamente risposto che Yahoo è un’azienda rispettosa delle leggi federali; una parziale e implicita ammissione, quindi, circa l’attività di monitoraggio massiccio perpetrata ai danni degli inconsapevoli utenti.
E’ intuibile, per certi versi, il coefficiente di pericolosità – a scapito d’istituzioni e collettività – della natura anarchica di Internet, generatrice di nuove categorie di reati che vanno dalla frode informatica al cyber-bullismo, dai traffici illeciti d’ogni sorta al proselitismo terroristico via web. Ogni cosa ha il rovescio della medaglia: se la rete e i suoi infiniti utilizzi ci proiettano nel futuro del cosiddetto “villaggio globale”, se interconnessione e applicazioni varie ci intrattengono piacevolmente e ci fanno interagire senza vincoli di distanza, è pur vero che la tracciabilità delle nostre attività da internauti ci espone al rischio di incappare in malintenzionati o, addirittura, di essere controllati e spiati a prescindere da chi dovrebbe proteggerci.
In conclusione, ecco la questione fondamentale su cui urge esprimersi: fino a che punto è lecito spingersi con la tecnologia e l’invasività dei social media, senza materializzare le orwelliane fantasie da Grande Fratello? E quanto siamo disposti a sacrificare delle nostre libertà e privacy, in nome di un controllo centralizzato che fornisca maggiore sicurezza?