Libia, quattro milioni di riscatto per i due italiani rapiti
Nuovi sviluppi emergono sulla vicenda dei due tecnici italiani rapiti nel sud della Libia da un gruppo di uomini armati. Lo scorso settembre, Bruno Cacace e Danilo Calonego, in forza alla società piemontese Con.I.Cos, impegnata nella manutenzione dell’aeroporto di Ghat, furono sequestrati di prima mattina, insieme a un collega canadese, mentre percorrevano in auto la strada per raggiungere il posto di lavoro.
Fin dall’inizio, gli investigatori hanno tentato di dare un’identità ai responsabili dell’atto criminale, con la preoccupazione di scoprire la mano diretta di Al Qaeda o Isis oppure di bande di delinquenti comuni orientate a una successiva cessione degli ostaggi a fazioni jihadiste. Eventuali negoziati di liberazione in un rapimento a scopo puramente estorsivo, infatti, sono giudicati meno rischiosi di quelli intavolati con la complicanza d’interferenze a sfondo politico, religioso e terroristico.
Una squadra italiana di detective, giunta nella regione del Fezzan, a sud del Paese, subito dopo la notizia del sequestro, aveva poi immediatamente tolto le tende, appurata la scarsa collaborazione dei libici e la mancanza di disponibilità dei mezzi di locomozione e del carburante necessari a condurre le ricerche.
Le autorità libiche hanno sempre abbracciato l’ipotesi di un’azione compiuta da una gang locale di fuorilegge, peraltro ben nota agli inquirenti. Anche il Consiglio comunale di Ghat ha escluso la pista terroristica, poiché – nella zona in cui sono scomparsi i nostri connazionali – non è stata rilevata alcuna presenza di Daesh.
Il giornalista algerino Otman Lahian, anch’egli vittima di rapitori, ha spiegato come i sequestri siano strumento e leva con cui i controllori della regione, cioè le milizie e le tribù locali, otterrebbero non solo denaro, ma anche risoluzioni vantaggiose su questioni in sospeso col governo centrale di Tripoli.
Gli ultimi aggiornamenti sul caso di Cacace e Calonego sembrerebbero dargli in parte ragione. L’agenzia di stampa Askanews riporta le condizioni poste, dopo settimane di silenzio, dai banditi e rese note dai servizi di sicurezza algerini: un riscatto di quattro milioni di euro e la liberazione di due prigionieri detenuti in Algeria. Le fonti, inoltre, hanno riferito al sito Middle East Eye che il gruppo criminale, composto di libici e algerini, sarebbe sotto la guida di un algerino, Abdellah Belakahal. Uno dei prigionieri di cui è stato chiesto il rilascio in cambio della liberazione degli italiani è, per l’appunto, il fratello di Belakahal, arrestato per traffico d’armi. Gli obiettivi della banda sono, dunque, dettati dalle motivazioni personali del capo e, naturalmente, dai soldi. Purtroppo, in caso di non soddisfazione delle richieste, peserebbe la minaccia di una consegna degli ostaggi ad Al Qaeda nel Maghreb o a miliziani dell’Isis.
Nel frattempo, intercorrono trattative tra sequestratori e intermediari di tribù locali che, secondo alcune fonti libiche, potrebbero accelerare le operazioni di liberazione dei nostri connazionali. La Farnesina sta, in queste ore, valutando la veridicità delle informazioni pervenute.