Italia delle Regioni
Antonio De Caro, sindaco PD di Bari è stato eletto il 13 ottobre presidente dell’Associazione dei Comuni Italiani riuniti per la XXXIII assemblea annuale, svoltasi alla Fiera del Lavante del capoluogo della Puglia.
L’Anci diventerà non il sindacato dei Comuni ma delle comunità, dei cittadini, dei territori e della coesione nazionale. “La nostra Associazione deve e può essere una sintesi efficace tra questa esigenza di coesione e la necessaria spinta riformatrice, che vede nelle legittime aspirazioni di un sistema delle autonomie il suo obiettivo comune”. “Da oggi sarò il sindaco dell’Anci, non di una parte del Paese. Lo intendo come un bel segnale, un bell’incoraggiamento per tutti. È come se l’Italia intera, oggi, guardasse al Mezzogiorno e gli dicesse: ‘bene, ora vediamo che sai fare!’. Questi alcuni passaggi significativi della relazione introduttiva alla XXXIII assemblea annuale Anci che il neo presidente dell’Anci e sindaco di Bari, Antonio Decaro, ha svolto davanti alla platea di amministratori riuniti fino a venerdì prossimo alla Fiera del Levante.
In Europa, circa 359 milioni di persone, pari al 72% della popolazione dell’UE, vive in città di grandi, medie o piccole dimensioni. E sebbene il tasso di urbanizzazione della popolazione abbia subito un rallentamento nell’ultimo anno, la quota di cittadinanza urbana continua a crescere e raggiungerà un livello superiore all’80% entro il 2050. La concentrazione di consumatori, lavoratori e imprese nelle città, unitamente alle istituzioni formali e informali insediate, rende i contesti urbani qualcosa di più di semplici centri amministrativi: il 67% del Pil europeo è prodotto in aree metropolitane che presentano un’incidenza di popolazione pari al 59% del totale UE.
Le aree metropolitane mostrano di aver reagito meglio dei propri Paesi di riferimento alla crisi e le città di piccole e medie dimensioni compongono ad oggi la spina dorsale del territorio europeo, svolgendo un ruolo importante sotto il profilo dello sviluppo e della coesione territoriale. Il neo presidente dell’ANCI ha sostenuto che “non a caso il ruolo delle Città ha finalmente assunto una forte centralità e l’agenda urbana della Unione Europea individua proprio nelle Città i veri centri del cambiamento, affidando ad esse le sfide principali del prossimo decennio: 1) inclusione dei migranti e dei rifugiati; 2) qualità dell’aria; 3) povertà urbana; 4) housing; 5) economia circolare; 6) adattamento ai cambiamenti climatici; 7) transizione energetica; 8) mobilità urbana; 9) transizione digitale; 10) acquisti pubblici; 11) lavori e competenza nell’economia locale; 12) uso sostenibile del terreno e soluzioni ambientali.”
Sfide che possono essere attuate solo attraverso un solido rafforzamento delle competenze negli Enti Locali, un chiaro coinvolgimento del sistema delle autonomie nei processi decisionali, un approdo definitivo dei processi di ridisegno istituzionale nel rapporto tra Comuni, Aree vaste e Città Metropolitane, nell’attivazione di un piano di investimenti diffuso e stabile che individui nelle piccole e medie opere di manutenzione e infrastrutturazione del territorio e nel rilancio dell’economia sociale, le leve dell’inclusione e dell’occupabilità, specie giovanile.
Un serio e organizzato piano di rilancio degli investimenti, compressi in modo rilevante negli anni della crisi, è obbligatorio per riavviare la domanda interna e accrescere il livello di produttività del nostro Paese. Il 99% dei Comuni ha rispettato il Patto di Stabilità interno, oggi ormai superato, e ha lasciato, ai saldi di finanza pubblica, consistenti avanzi di amministrazione pari a circa 4,2 miliardi di risorse non utilizzabili ma potenzialmente disponibili per investimenti. Se a queste risorse addizioniamo i fondi nazionali europei e i fondi strutturali gestiti dalle Regioni nella Programmazione 2014-2020 oltre che gli strumenti finanziari che Bruxelles gestisce in modo diretto, il Paese potrà avvalersi di 8.000 stazioni appaltanti da cui far ripartire la crescita del Paese attraverso una solida manovra di politica economica.
Abbiamo da poco chiuso un periodo di tagli e di misure di austerità, di progressiva riduzione di risorse, che ha fortemente inciso sulla finanza locale e compromesso di fatto l’autonomia delle nostre amministrazioni. La Corte dei Conti ha dichiarato il contributo dei Comuni superiore allo sforzo richiesto alle altre Istituzioni dello Stato: oltre 13 miliardi di euro di riduzioni di risorse con effetti pesantissimi, con una contrazione degli investimenti locali stimata al 30%. Un periodo pesantissimo che si è interrotto, per fortuna, con la Legge di bilancio 2016 che, grazie soprattutto all’intervento dell’ANCI, ha aperto un nuovo e importante capitolo nel rapporto tra Stato ed Enti Locali. Un risultato che si è tradotto in provvedimenti necessari ed efficaci: fine dei tagli lineari, superamento del Patto di Stabilità, modifiche del nuovo sistema di contabilità, rifinanziamento dei fondi sociali. Ma noi sappiamo che siamo solo all’inizio e che la strada è ancora lunga.
Oggi, siamo alle porte di una nuova stagione che torna ad esaltare e legittimare di fatto il ruolo dei Sindaci e del sistema delle autonomie locali e che indica l’avvio di una inversione di tendenza nelle politiche economiche. Le stesse che hanno guardato sempre con diffidenza alle politiche di investimento locale, non considerando quanto il debito pubblico si alimenti anche di immobilismo amministrativo e mancata crescita.
Solo un effettivo recupero di autonomia può garantire un’adeguata programmazione e uno stimolo più deciso agli investimenti locali, che si traducono in occupazione, fiducia, consumi e crescita economica sui nostri territori, generando, inoltre, maggiori entrate fiscali per lo Stato, minore spesa sociale per gli Enti, favorendo il consolidamento di un sistema territoriale più efficiente e orientato maggiormente alla pianificazione e meno all’emergenza. Un’autonomia politica che per tradursi in azione amministrativa necessita di tre elementi sostanziali: l’autonomia organizzativa, la semplificazione e l’autonomia fiscale e finanziaria.
Autonomia organizzativa significa vita più semplice per i Comuni. L’Italia è un Paese di 8.000 Comuni, di piccole, grandi e medie dimensioni, ed è necessario riconoscere la specificità di ognuno, con una flessibilità organizzativa che tenga conto delle dimensioni demografiche e territoriali e che riconosca, in particolare ai piccoli Comuni, norme più semplici e accessibili, su acquisti, appalti, personale, spesa e contabilità.