Santos, Nobel per la pace

Mentre in Europa il Presidente Juncker riceve il premio per il suo impegno nel tutelare la pace nell’Unione, il Comitato Norvegese per il Nobel assegna il Premio Nobel per la Pace 2016 al Presidente colombiano Juan Manuel Santos per i suoi sforzi incessanti per porre fine a più di 50 anni di guerra civile con le Forze armate rivoluzionarie della Colombia. Uno dei conflitti più lunghi al mondo che ha ucciso più di 220.000 persone dal 1964.

Il Premio Nobel per la pace, ha sottolineato nelle motivazioni il Comitato per il Nobel, è stato anche un tributo al popolo della Colombia, alle vittime del conflitto e un modo per spronare Santos a proseguire nei suoi sforzi: “…per la sua determinazione nel mettere fine alla guerra civile nel Paese – recita la motivazione – …il premio deve essere visto come un omaggio al popolo colombiano che, nonostante grandi difficoltà e abusi, non ha mai perso la speranza di una pace giusta e un tributo a tutte le parti che hanno contribuito al processo di pace”. “Lo accetto in nome del popolo che ha sofferto così tanto durante questa guerra – queste le parole con cui Santos accetta il Premio, continuando col dichiarare che è per lui – un grande stimolo per costruire la pace in Colombia”.

Lo sappiamo tutti: è recentissima la firma dell’Accordo di pace tra Governo colombiano e le Forze Armate Rivoluzionarie della Colombia (FARC) e con questo la speranza di nascita di una “nuova era di riconciliazione e costruzione della pace”. Come altrettanto recente è la vittoria dei “no” al Referendum, che ha bocciato l’Accordo di pace firmato e che Santos decise d’indire proprio per la portata storica dell’Accordo bilaterale per il cessate il fuoco: per stabilire come, con quali modalità, in che tempi porre fine a una guerriglia lunghissima e che aveva estenuato il Paese. Un “no” che non ha influito sulla valutazione del Comitato di Oslo quando si è trattato di decidere a chi aggiudicare il Premio. Un “no” che è la risposta del popolo colombiano alla decisione di stringere un Accordo che, evidentemente, deve essergli parsa affrettata e non abbastanza equa nel giudicare e punire le FARC per gli anni di guerriglia di cui sono stati responsabili. Una pace in cui “…non ci sarà carcere per le FARC”, in cui secondo molti la “…giustizia è stata sacrificata in nome di un perdono troppo facile”.

E’ vero che molteplici e complesse sono state le cause che l’anno provocata: la presenza di gruppi di guerriglia all’interno del Paese, che in alcuni casi sono stati perfino riconosciuti legalmente; la presenza del narcotraffico e conseguentemente della narcoeconomia; la difficile situazione dei contadini; l’influenza esercitata dalla “campagna a favore dei no” condotta dall’ex Presidente Alvaro Uribe; la volontà e la decisione di portare avanti una giustizia “riparativa e non punitiva” ( e soprattutto questo è stato il passaggio che ha diviso l’elettorato); il “programma di reinserimento” degli ex guerriglieri, che prevedeva un sostegno economico per realizzare dei “progetti di vita” alternativi alla guerriglia; ma, anche, innegabili sono gli sforzi compiuti da Santos e dal suo entourage e l’altissima astensione, in ragione del 60% al Referendum, unita a quanti hanno deciso di esprimersi negativamente è un segno che la risposta dei colombiani non vuole essere un rifiuto al processo di pace iniziato, ma solo il simbolo della “non approvazione” all’Accordo Santos – Timochenko e dei termini in cui era stato stretto.

Il sostegno della Comunità internazionale è un dato di fatto, come testimoniano anche le parole del Segretario generale dell’ONU, Ban Ki-moon, che nel suo messaggio di congratulazioni sottolinea che “… il processo di pace è andato troppo in là perché possa essere annullato” e definisce il Nobel “una speranza e un incoraggiamento di cui il popolo colombiano aveva bisogno” oltre che “un messaggio per tutti coloro che hanno lavorato così tanto per la pace”.

Da parte sua il Comitato del Nobel, conferendo il Premio, ha voluto dare un segnale forte all’opinione pubblica internazionale della propria certezza che il processo di pacificazione in corso non è naufragato e gli sforzi fin qui compiuti non sono stati vani, imprimendogli, contemporaneamente, una spinta decisa: “…aver detto di no – motiva – non vuol dire necessariamente che il processo sia morto”.

E il Presidente del Comitato norvegese, Kaci Kullmann Five, è appunto e soprattutto questa l’evenienza che vuole scongiurare: “… c’è il pericolo reale che il processo segnerà una battuta d’arresto e che la guerra civile divampi di nuovo”, sottolineando l’auspicio contenuto nelle loro intenzioni, affinché possa essere di incoraggiamento per la collaborazione di tutte le parti che e per la prosecuzione degli sforzi nel senso iniziato.

Garanzia e assicurazione a cui non si sottrae Santos, che in un messaggio alla Nazione, all’indomani dell’esito del Referendum, conferma il cessate il fuoco bilaterale e che questo rimarrà in vigore nonostante l’esito: “…come Presidente mantengo intatta la mia capacità e il mio obbligo di tutelare l’ordine pubblico e di cercare la pace. Il cessate il fuoco rimane e rimarrà in vigore. Sono pronto ad ascoltare chi ha votato no e chi ha votato sì”. Garanzia e assicurazione, conferma d’intenti cui si unisce anche Timoshenko che dichiara, all’indomani della diffusione dei primi risultati elettorali, che le FARC non torneranno alla guerra: “Le FARC mantengono il loro desiderio di pace e ribadiscono la loro volontà di usare la parola come arma di costruzione verso il futuro”.

Il Premio, insieme agli altri Premi Nobel, sarà consegnato a Santos il 10 dicembre, anniversario della morte del fondatore Alfred Nobel nel 1896.

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