Tonino Valerii

Quando superi gli 80 cammini con la testa all’indietro, per guardare gli amici che se ne sono andati o quelli che stanno per andarsene.

Tonino Valerii, il mio più caro amico che ho avuto nel mondo del cinema è uno di questi. L’ho conosciuto nell’ottobre del 1955 al Centro Sperimentale di Cinematografia, eravamo entrambi stati ammessi al primo corso di regia e sceneggiatura. Era pallido, magro, con occhi celesti, appassionato ai grandi autori cinematografici da Dreyer a Lubitsch e agli allora contemporanei Bergman, Visconti, Rossellini, DeSica e ai crescenti Fellini e Antonioni con il loro carico d’arte e di psicoanalisi, ma destinato invece a diventare uno dei più grandi registi del western italiano.

Dal 1955 al 1957 io e Tonino e gli altri nostri compagni vivemmo due anni pieni di eccitazione e di speranze sotto la guida in un grande come Alessandro Blasetti e di un bravo autore come Giorgio Prosperi, ma anche con una borsa di studio e un pasto gratuito in mensa. Finita la scuola, gettati per strada, dovemmo cercare ognuno la nostra via. Per me furono anni di fame, per Tonino no, il padre gli pagava una pensione pasti inclusi e così la domenica mi invitava per un vero pasto completo, con la padrona di casa,  la sora Giggia, che mi si metteva dietro la mia sedia a mani giunte, esclamando incredula “ma quanto magni fijo bello”: mangiavo per tutta la settimana a venire.

Poi io e Tonino cominciammo a ingranare: qualche soggetto venduto, le prime sceneggiature per filmetti commerciali modesti, lavori condivisi, sceneggiature scritte in una notte in un continuo zampillare di battute esilaranti e canzoncine di accompagno mentre le nostri giovani mogli (eh sì, c’eravamo sposati entrambi) ci portavano dozzine di caffè. Poi io diressi il mio primo film “Libido” e lui seguì col suo primo western “Per il gusto di uccidere”.

Ormai la nostra strada era professionalmente segnata: io avrei scritto dozzine di thriller e lui diretto capolavori western. Io affittai un attichetto a Roma in via Nemorense 39 da Ettore Scola e Tonino venne ad abitare al 31, io comprai un bicamere al Circeo in un villino e lui comprò l’appartamento accanto. Un’amicizia che diventò simbiosi di due famiglie  e che, come frutti eccellenti, partorì “I giorni dell’Ira”, “Una ragione per vivere e una per morire”, “Il prezzo del potere” e “Il mio nome è Nessuno”.

Tonino era un abruzzese buongustaio e io un piemontese amante del buon vino, entrambi montanari, però lui era anche un grande cuoco e spesso nelle estati circeiane scendeva nel giardino con un pacco di spaghetti sotto il braccio per farci dei sughi clamorosi. In età già avanzata, costretto a una dieta per il diabete, mi raccontava di sognare spesso di   alzarsi dal letto coniugale per infilarsi in una garçonnière… per  cucinarsi un colossale piatto di spaghetti all’amatriciana! Gli regalai una targa “Er mejo cuoco der monno è il reggista Valer seconno”. Valer Secondo perché teneva molto alle due “i” del suo cognome Valerii.

Tonino non amava che andassi sul set mentre girava, forse una forma di timidezza perché lo chiamavano “maestro”, del resto in quel periodo d’oro per il nostro cinema commerciale io non avevo molto tempo per andare sui set dei film che scrivevo al ritmo di mezza dozzina all’anno. Nella vita il caso gioca una parte importante e anche nelle carriere dei registi si diverte a fare la sua parte: “I giorni dell’Ira” nacque come un piccolo film, coproduzione con la Germania, produzione degli indimenticabili fratelli Sansone: era la storia di un ragazzino che si metteva a servizio di uno spietato pistolero e alla fine uccideva il suo maestro obbedendo alle regole che gli aveva insegnato. Si partiva da un soggettino scritto da un amico biellese, Renzo Genta, e la sceneggiatura scritta a quattro mani con Tonino divenne una storia appassionante che interessò l’allora grande divo Giuliano Gemma che ragazzino non era più, ma si adattò a ritornarlo e lo spietato pistolero ci arrivò da Sergio Leone con il volto meraviglioso di Lee Van Cleef.

Con questo cast non era più un filmetto ma un filmone ma il regista rimase il quasi esordiente Tonino. E fu subito gloria di incassi e di vendite in ogni Paese del mondo.  Il destino western di Tonino era segnato e quando Sergio Leone per  “Il mio Nome è Nessuno” licenziò il regista Michele Lupo per una incomprensione sulla sceneggiatura, io feci a Sergio il nome di Tonino che gli aveva fatto da aiuto nel film “Per qualche dollaro in più”. “Cotto e mangiato” come usava dire all’epoca e il grande Tonino si trovò dirigere Henry Fonda nelle pianure americane. Un impegno tremendo, sapendo che a Roma Sergio Leone guardava i “giornalieri”, ossia le scene che Tonino stava girando negli States. Henry Fonda si rese conto del carico che gravava sulle spalle di Tonino che aveva qualche problema a dirgli di ripetere una scena non riuscita bene, lo prese in disparte e gli disse che doveva trattarlo come l’ultima delle comparse e liberarsi dal timore reverenziale, sia nei suoi confronti che in quelli di Sergio. Grande Henry! Seguivo l’andamento delle riprese dal mare, mi ero comprato un barca a vela e ricevevo spesso radiotelefonate da Sergio su dettagli del copione  via via che Tonino girava le scene. Il film stava crescendo e si capiva  che era un capolavoro nel suo genere. Riuscì tanto bene che in una conversazione telefonica di Leone con Spielberg questi gli disse che il suo più bel film era…”Il mio nome è nessuno”!  Da quel momento Sergio cominciò a lasciare intendere che effettivamente ci aveva messo lo zampino: questo fece soffrire moltissimo l’amico Tonino che aveva permesso a Sergio di girare un paio di scene in Spagna perché il film era in ritardo, si trattava di due scenette minori e neppure delle meglio riuscite.

Ormai Tonino Valerii non aveva messo solo Beauregard nei libri di Storia ma anche il proprio nome in quella del cinema mondiale. Scherzando, spesso ci dicevamo che non esistono storie a lieto fine perché se si continuano si scoprirà che il Principe Azzurro muore di cancro alla prostata e la Bella Principessa di Alzheimer quindi il trucco sta nello smettere di raccontare al momento giusto. Purtroppo nella vita non si può fermare il tempo e tutto arriva alla fine.

Così il 13 0ttobre 2016 è morto il mio più grande amico nel mondo del cinema, il grande regista Tonino Valerii. Lui era nato a maggio del 1934, io a settembre. Abbiamo condiviso un lungo tratto di vita, dai venti agli 80 anni e abbiamo lavorato insieme a molti film, ma per quel che più conta è stata la salda calda amicizia. Quando finiva di girare un film e cercava il prossimo ero solito a incitarlo ridendo: “Corri, Tonino, corri!” , ora mi è corso avanti, presto conto di raggiungerlo.

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