UE, disoccupazione ai livelli minimi dal 2009
I dati ufficiali sembrano registrare una controtendenza sullo stato di salute generale del mercato del lavoro in Europa. In base all’analisi trimestrale Occupazione e sviluppi sociali in Europa della Commissione UE, pubblicata l’11 ottobre, pare che nel corso di un anno circa 3.2 milioni di persone abbiano trovato un impiego, con ben 2.2 milioni solo nella zona euro. Dunque il tasso di disoccupazione europeo attuale, pari al 8.6%, si trova ai livelli più bassi dal 2009. Tali numeri sono stati raccolti tra le statistiche di 24 paesi dell’UE, considerando le grandi differenze tra uno Stato membro e l’altro.
Secondo le stime, un aspetto interessante sta nel calo costante della disoccupazione di lunga durata, che nel 2016 riguarda il 4,2% dei lavoratori rispetto a un 4,9% dello scorso anno. Sia per ragioni politiche che di opportunità del sistema, le analisi sui giovani vengono poste in maggiore risalto: la percentuale complessiva di disoccupazione giovanile europea osserva un calo di alcuni punti, passando dal 20,1% dell’agosto 2015 al 18,6% di quest’anno.
Marianne Thyssen, Commissario europeo per l’occupazione, gli affari sociali e la mobilità del lavoro: «Il crescente numero di persone che trova un lavoro mostra che i nostri sforzi stanno dando dei risultati. In Europa ci sono 1.6 milioni di persone disoccupate in meno rispetto all’anno scorso di questi tempi, 381 mila dei quali sono giovani. Ciò conferma i risultati positivi della Garanzia Giovani e dell’Iniziativa per l’Occupazione Giovanile, che abbiamo pubblicato la scorsa settimana». Tuttavia ancora 4.2 milioni di giovani stanno cercando lavoro e non possono essere lasciati in balìa di se stessi. Le istituzioni europee dichiarano di impegnarsi nell’investire sul capitale umano e nel supporto per l’acquisizione di nuove abilità professionali in grado di incontrare le nuove esigenze del mercato del lavoro.
Per quanto riguarda la fascia di età compresa tra i 15 e i 24 anni, il tasso di disoccupazione continua a calare: nel corso dell’ultimo anno è sceso di 1.5 punti percentuali e si è attestato a un 18.6% nell’Unione europea, mentre nell’area euro ha registrato un valore di 20.7% con un decremento di 1.6 punti. Questi ribassi coinvolgono circa 381 mila giovanissimi senza lavoro, e nonostante un miglioramento delle condizioni rispetto al 2015, i livelli rimangono superiori al livello minimo raggiunto nel lontano 2008. Cosa indicano questi elementi statistici? Si può facilmente leggere tra le righe come, da un lato, la fascia di età giovanile meno contemplata sia in realtà quella che va dai 25 ai 40 anni, che in maniera uniforme in tutta Europa vive le condizioni di precarietà più difficili. In bilico tra esperienze professionali già compiute e l’avvicinarsi della mezza età, è la fase più critica per chi prova a rimettersi in gioco in caso di perdita del proprio lavoro. D’altra parte, nei paesi UE più sviluppati, i giovani tra i 15 e i 24 anni stanno perlopiù continuando la propria formazione, costituendo un dato utile ma certamente meno incisivo di chi già lavora e fatica a stabilizzarsi professionalmente.
Dando uno sguardo alla situazione dei singoli Stati membri, tra i più performanti troviamo l’Ungheria, l’Irlanda, il Lussemburgo, Malta e la Spagna, tutti con valori superiori al 2.7%. Nell’ultimo quadrimestre hanno fatto bene anche l’Estonia (1.7%) e la Lituania (0.7%), mentre Grecia, Lettonia e Polonia si sono riprese dal declino del primi quattro mesi dell’anno. La Croazia è stata l’unica a subire un calo del -0.1%, mentre la Finlandia ha mantenuto la situazione stabile.
Il settore dei servizi, sia commerciali che non, continua a spingere la crescita dell’occupazione in Europa, mentre si notano miglioramenti meno consistenti nell’industria e nelle costruzioni. Valori oscillanti per l’agricoltura, le cui stime vedono un incremento solo nella seconda parte del 2016. Ma tralasciando un attimo i dati ufficiali delle istituzioni europee, chi sembra messo meglio nell’UE? Fonti esterne a Bruxelles dichiarano l’Olanda come il paese più virtuoso nel riprogrammare l’occupazione giovanile: le ragioni paiono legate all’utilizzo del “modello Polder”, basato su una reale sinergia tra organizzazioni imprenditoriali, governo e sindacati. Tale sistema sfrutta il decentramento politico a livello comunale, in cui gli amministratori locali hanno il compito di gestire la situazione lavorativa dei propri cittadini, grazie a un sistema capillare di uffici di collocamento e una rete di collaborazione tra istituti professionali e attività del territorio. L’unica richiesta che si fa ai giovani olandesi è di seguire i programmi di formazione professionalizzante.
E in Italia? Il modello olandese, ovviamente, si trova anni luce rispetto alla nostra situazione nazionale, sia per il numero di disoccupati che per la maniera di gestire la cosa pubblica. La mancanza di una rete di enti professionali che formino le nuove leve del Paese – invece di costruire i soliti fantocci mangia-soldi e finanziamenti – è una piaga che non permette la comunicazione efficace tra domanda e offerta di lavoro. Con un tasso di disoccupazione generale del 12%, l’Italia si mantiene ancora al terzo posto dopo la Grecia e la Spagna, ma le stime sui giovani mostrano ancora dati “eccezionalmente elevati” che arrivano sino al 38%. Che immagine danno dunque le statistiche UE rispetto alla realtà quotidiana dei singoli paesi? Nel nostro caso, di certo non serve a tranquillizzare gli animi, ma forse a spingere ancor di più i ragazzi di oggi a cercare fortuna in qualche altro sentiero al di là delle Alpi o del Mediterraneo.