Tecnici italiani uccisi in Libia, indagato manager della Bonatti

Omicidio colposo e violazione dell’articolo 2087 del codice civile sulla tutela delle condizioni di lavoro: sono questi, dunque, i capi d’imputazione rivolti dalla Procura di Roma a un dirigente della Bonatti di Parma – fornitrice, in Libia, di manutenzione tecnica presso la stazione di compressione Greenstream – per la tragica uccisione di due dipendenti della società, avvenuta lo scorso anno, nelle vicinanze di Mellitah.

Rientrati nel Paese nordafricano dopo un periodo di ferie in Italia, Fausto Piano, Salvatore Failla, Gino Pollicardo e Filippo Calcagno furono sequestrati il 19 luglio 2015 da un gruppo armato lungo il tragitto tra il confine libico-tunisino e il compound gestito dall’Eni, sede della loro attività lavorativa.

Calcagno e Pollicandro riuscirono a tornare a casa. Failla e Piano, invece, durante un trasferimento operato dai rapitori, furono colpiti mortalmente nel corso di una sparatoria ingaggiata – senza preavviso – da miliziani libici, a presidio di un check-point, convinti di avere a che fare con un convoglio jihadista.

Nell’ambito della relativa inchiesta disposta dal PM Sergio Colaiocco, sono da subito emersi interrogativi circa l’applicazione e osservanza dei protocolli di sicurezza previsti per la protezione del personale aziendale impegnato in aree a rischio. Nei giorni scorsi, i carabinieri del ROS hanno perquisito la sede centrale della società di costruzioni, a Parma, allo scopo di reperire la documentazione probante necessaria all’individuazione di eventuali responsabilità interne.

Agli occhi degli inquirenti è emerso in evidenza il nome di Dennis Morson, “operation manager” della ditta, incaricato – nel caso specifico – della logistica e sicurezza in Libia. Secondo la Procura di Roma, Morson non avrebbe adottato le misure previste per tutelare l’incolumità dei tecnici italiani ed è, perciò, indagato per il reato di concorso colposo nel decesso di Failla e Piano.

L’incongruenza su cui si cerca di far luce riguarda la ragione per cui i quattro dipendenti della Bonatti raggiunsero la città di Mellitah da Djerba, in Tunisia, a bordo di una vettura condotta da un autista libico, piuttosto che per via marittima, com’era sempre accaduto in precedenza. Egidio Romitelli, capo del personale dell’azienda, ascoltato come testimone, avrebbe riferito al PM che le trasferte nelle zone a rischio sono regolate da un preciso protocollo di sicurezza depositato alla Farnesina. Non è stato in grado di motivare la variazione nelle modalità di trasferimento dei quattro tecnici, poiché – ha aggiunto – la logistica in Libia è, per l’appunto, di competenza di Dennis Morson.

Tra gli inquirenti si è insinuato anche l’infamante dubbio che i tecnici possano essere stati “svenduti” ai rapitori da qualcuno al corrente del loro non preventivato viaggio in auto. Ipotesi sinistra e, in linea generale, difficilmente percorribile. Di contro, si profilerebbe, con maggior probabilità, una violazione al protocollo stabilito per far fronte a un imprevisto dell’ultimo momento: interrogato da Colaiocco, Morson ha, infatti, giustificato il cambio di programma affermando che, una volta raggiunta Mellitah, i quattro avrebbero dovuto catapultarsi d’urgenza in un’altra località distante circa 700 chilometri e la nave normalmente utilizzata partiva con un giorno di ritardo rispetto alle esigenze operative della trasferta. Ha, inoltre, puntualizzato come la polizia libica abbia tratto in arresto e sottoposto a regime di detenzione l’autista dei nostri connazionali, per una sua presunta combutta con i sequestratori.

Si resta, dunque, in attesa dei risultati investigativi sui predetti approfondimenti, che potrebbero fugare o attestare possibili corresponsabilità individuali in seno alla Bonatti di Parma.

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