Energia e business
L’energia che usiamo tutti i giorni, che cos’è, in primo luogo? Un bene? O un business? Lo fa pensare la nuova e costosissima corsa di 384.000 km alla Luna, ipotetica ‘miniera’ di elio-3, strategico per un potenziale business della fusione nucleare; mentre il Sole, risorsa a km 0 e già capace di fornire tutta l’energia necessaria alla civiltà contemporanea, viene ancora ‘sottoutilizzato’.
Da vent’anni, grazie alla ricerca italiana, del Nobel Rubbia, di Enea, di Enel, è certo che un immaginario campo solare di duecento chilometri per duecento fornirebbe tutta l’energia necessaria alla vita umana. Ma mentre alcuni governi costruiscono mega centrali alimentate dal sole, come le venti a ‘solare termodinamico a concentrazione’ con tecnologia italiana recentemente ordinate dalla Cina o quelle realizzate dagli USA nei deserti del West, grandi potenze lavorano per il futuro controllo della nuova potenziale risorsa. Anzi: per la creazione di una risorsa energetica ‘controllabile’. Da una sponda all’altra del Pacifico, sono numerosi i team di ricerca in corsa per realizzare razzi vettori potenti ed economici, trivelle capaci di penetrare, con un sesto della gravità terrestre, nel ricco e freddo Polo Sud della Luna, e sistemi di trasporto dell’elio. Non è ricerca ‘pura’, nell’ interesse dell’ ‘umanità’: i ricercatori lavorano con intento commerciale, l’atteggiamento è di conquista, la ’vision’ è strategica. Nulla di nuovo, nell’approccio commerciale all’energia che ha già scritto la storia del petrolio, e del mondo. E nulla di nuovo nella corsa delle grandi potenze alle nuove risorse, come un tempo avvenne tra USA e URSS proprio per la Luna, e poi quella recente per il controllo dello spazio attraverso i satelliti e quella per il controllo di internet.
Ma proprio la storia del petrolio mette in guardia su un potenziale rischio: il rischio che l’intento di controllare il mondo attraverso l’energia ed il suo business faccia nuovamente prevalere la risorsa controllabile – l’elio-3 della Luna – su quella liberamente disponibile – il Sole sulla Terra. Un problema etico; ma un approccio etico è l’unico in grado di prevenire o almeno correggere, gli errori strategici di un approccio affaristico alle grandi questioni dell’economia mondiale: basti pensare agli sconvolgimenti climatici provocati dall’inquinamento atmosferico da idrocarburi, alle guerre tutt’ora in corso per il controllo delle risorse, e ai problemi sociali, la fame, le migrazioni di massa, che un approccio soltanto commerciale ai ‘beni’ come l’energia e non solo sta oggi provocando. La nuova corsa alla Luna per l’energia è una questione più che geopolitica, è una questione universo-politica, che però nasce al di fuori di quadro di accordi internazionali: quello dell’ONU sullo spazio extra-atmosferico (Outer Space Treaty – OST) del 1967, siglato solo da USA, URSS e Gran Bretagna, non dà indicazioni definite sui diritti di sfruttamento delle risorse minerarie. E quello sulla Luna dell’ONU del 1984, che comprendeva il problema delle risorse minerarie, non fu ratificato perché USA e URSS si dichiararono contrari. In questo quadro viene da chiedersi come finirebbe una contesa tra privati – i soggetti oggi più presenti con satelliti e missioni nell’atmosfera e non solo – o peggio tra governi, per il controllo di un lago ghiacciato o di un giacimento di elio-3 sulla Luna. Per non dire per il controllo di una base, come la Luna, utile per la gestione di sistemi e vettori armati.
Mentre i governi siglano gli accordi per la riduzione dell’inquinamento come quelli di Parigi sul Clima, i programmi e i team di ricerca lavorano al reperimento e controllo dell’elio-3 presente sulla Luna e potenziale combustibile per la fusione nucleare. Tutto parte dall’ipotesi che l’elio-3, un isotopo dell’elio presente nel vento solare e raro sulla terra che è protetta dall’atmosfera, sia stato depositato in grande quantità sulla superficie della Luna, che di atmosfera è priva. Su questa ipotesi è partita la nuova corsa alla Luna. Nel 2013 lo Yutu rover, inviato dalla Cina, ha effettuato la prima visita ‘umana’ al pianeta dopo 37 anni. Anche all’obbiettivo di estrarre l’elio-3 dalla Luna risponde il Programma spaziale Chang’e della Cina. Nel gennaio 2006, la compagnia spaziale russa RKK Energija ha annunciato di prevedere di poter estrarre elio-3 dalla Luna entro il 2020. Negli USA, dove un’agenzia di Stato come la NASA non può rischiare l’impopolarità per un potenziale fallimento, si sono lanciati nell’impresa numerosi team privati; Google ha offerto 30 milioni di dollari al primo team privato in grado di far atterrare sulla Luna un robot in grado di spostarsi per 500 metri e inviare immagini ad alta definizione sulla Terra. Anche l’europea ESA resta concentrata sui programmi scientifici e di più immediata utilità, come quelli satellitari. Ma intorno ai big ‘storici’ della ricerca tecnologica occidentale, numerosi altri soggetti si sono lanciati nella conquista dell’acqua, presente sulla Luna, del silicio, ma soprattutto dell’elio-3. Tutti al lavoro, sorretti da investimenti miliardari.
Tutti al lavoro, ma con problemi enormi. Perché la ricerca per una fusione nucleare in grado di sfruttare senza conseguenze la produzione di energia da elio-3 è ancora in corso. L’elio-3 di per sé non è radioattivo. La ricerca però deve trovare il modo di scongiurare eventuali reazioni collaterali nel corso della fusione, affinché questa avvenga in modo ‘pulito’. Il sistema di produzione dovrebbe compensare con elio-3 aggiuntivo l’inefficienza attuale del passaggio dell’energia dalle centrali alle reti. E, per fare un esempio, se come indica l’Energy Information Administration degli Stati Uniti, l’energia consumata per il solo uso domestico negli Stati Uniti ammontava nel lontano 2001 a 1,140 miliardi di chilowattora, servirebbero 6,7 tonnellate l’anno di elio-3 per coprire quei consumi con un sistema efficiente, ma fino a 20 tonnellate con i sistemi non perfetti attualmente in uso.
Tutto ciò, a costi molto superiori rispetto a quelli delle fonti di energia attualmente in funzione, in particolare quelle rinnovabili. Secondo Matthew Genge, docente della Facoltà di Ingegneria all’Imperial College di Londra, il costo del trasporto di un materiale dalla Luna alla terra può essere stimato intorno ai 25.000 dollari al chilogrammo. Costi incommensurabili, considerato che l’obiettivo non sarebbe solo quello di coprire – per tornare alle 20 tonnellate dell’esempio – i consumi domestici dei soli USA. Costi ai quali andrebbero a sommarsi quelli per la ricerca, e quelli per la realizzazione degli impianti a terra. Il punto, allora, è: se un sistema così costoso e ancora incerto di produzione di energia venisse attivato mentre ne esistono di più efficienti e rinnovabili, quale ne sarebbe l’utilità? Quale, se non la realizzazione nei prossimi decenni di un mercato dell’energia condizionato da una futura fonte strategica molto costosa ma facilmente controllabile?
[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]