La Spagna fuori dal tunnel?
Dopo lunghi mesi senza un governo e in pieno caos politico, il Partito Socialista spagnolo ha deciso, con voto a maggioranza tra i suoi parlamentari, di permettere, con la sua astensione, la formazione di un nuovo governo del Partito Popolare guidato dall’attuale premier Mariano Rajoy. Ricordiamo che il PP era risultato primo nelle due elezioni di quest’anno, ma senza la maggioranza parlamentare necessaria ad ottenere la fiducia. Per molti mesi si sono incrociati difficili negoziati e dichiarazioni reciproche di incompatibilità. Ora, la situazione sembra essersi alfine sbloccata. Come mai? Ha certamente funzionato la terribile usura del vuoto creatosi in questi mesi e le reazioni di rabbiosa stanchezza di tanti elettori. Ma più di ogni altra cosa sono servite due circostanze: la prima, è la profonda crisi interna del Partito Socialista, che ha defenestrato il suo leader ed è in mano a una guida provvisoria, in attesa del congresso che si terrà il prossimo anno. La seconda, è la chiara prospettiva che, in mancanza di un accordo di governo, Rajoy sciolga nuovamente il Parlamento indicendo nuove elezioni, in cui il PSOE rischia di continuare a perdere consensi a profitto dei suoi rivali della sinistra populista.
Siamo dunque fuori dal tunnel? Sarebbe azzardato e prematuro dirlo. Quella che si è creata in Spagna non è una “grande coalizione” quale quella che assicura stabilità di governo per tutta la legislatura alla Germania, ma una situazione di per sé precaria di governo di minoranza tenuto in vita dall’astensione di un partito di opposizione. Potrà durare a lungo questo difficile stato di cose? Che autorità avrà il nuovo governo del PP per affrontare i problemi del Paese? Come eserciterà il Partito Socialista la sua inedita funzione? I suoi dirigenti hanno già fatto sapere di non essere disposti a fare da stampella al Governo e di prepararsi a proporre l’abolizione di molte leggi approvate dalla maggioranza popolare negli anni scorsi. Rajoy ha, per parte sua, lanciato segnali di pazienza e di “generosità” dicendosi disposto a trattare sinceramente con l’opposizione. Ne avrà molto bisogno, se vuole durare, ma sarà un’opera difficile e sempre a rischio.
Dalla complicata vicenda spagnola dovrebbero trarre ammonimento le forze politiche italiane responsabili, cioè fondamentalmente il PD (tutto il PD, compresa la sua frangia inquieta e suicida di minoranza, i vari Bersani, Speranza, D’Alema) e tutto il centro-destra moderato. Con l’attuale frazionamento politico, superiore da noi a quello che affligge la Spagna, ritornare a qualsiasi sistema elettorale che favorisca la moltiplicazione dei partiti e partitini e non permetta, attraverso il meccanismo del ballottaggio, un chiaro vincitore finale, entreremmo in una lunga e oscura crisi di ingovernabilità e il danno sarebbe di tutti. Le vicende tedesca e spagnola (come quella delle Larghe Intese da noi) dimostrano che la sola via d’uscita a situazioni del genere è un accordo tra i principali partiti in opposizione tra di loro. In Spagna, lo abbiamo visto, l’accordo è precario e non dà grande affidamento per il futuro. In Germania, Paese di gente seria , l’accordo è fondato su lunghe ed esaustive trattative che portarono a un programma concordato e sul comune senso di responsabilità verso il popolo tedesco.
E da noi? Il governo Monti e le Larghe Intese furono il frutto, del tutto transitorio, di situazioni di emergenza, ma non funzionarono mai secondo le regole di una vera “grande coalizione”, e fu in ambedue i casi la scriteriata cecità di Berlusconi a mettervi un termine. Possiamo davvero credere che sia possibile riprodurre in futuro situazioni analoghe? Non vediamo oggigiorno prove evidenti della insipienza, della follia suicida, di buona parte della classe politica?
Chi ha fatto dell’abbattimento di Renzi lo scopo – unico, quasi paranoico – della propria azione politica ci rifletta. Non si tratta di cambiare un governo, ma di impedire all’Italia di cadere in un fatale circolo di ingovernabilità.