Mosul, la battaglia finale
Mosul, una delle roccaforti jihadiste in Iraq, è stretta d’assedio dalle Golden Eagle, forze d’elìte dell’esercito iracheno, e dai peshmerga curdi. La cronaca ci racconta della prima messa celebrata in una chiesa danneggiata di Qaraqosh, principale città cristiana, tra Mosul ed Erbil, situata nella piana di Ninive e liberata dalla feroce occupazione dei miliziani di Al Baghdadi, responsabili della cacciata di quasi 100.000 civili dalle loro abitazioni.
L’Isis sta perdendo inesorabilmente terreno. Ogni operazione terrestre contro il Califfato è rigorosamente preceduta da incursioni degli aerei della Coalizione. Non infrequentemente, a farne le spese è la popolazione locale, presa tra l’incudine e il martello, fra bombe “amiche” che piovono dal cielo e deportazioni e violenze perpetrate dagli jihadisti. La situazione sta velocemente degradando in una catastrofe umanitaria di ampia portata, che vede coinvolte soprattutto le inermi minoranze religiose.
Violenti combattimenti infiammano Gogjali, quartiere orientale di Mosul. Le truppe irachene sono penetrate nel tessuto urbano per circa 5 chilometri, conquistando a est l’edificio strategico della vecchia torre televisiva, e cercano, attraverso il quartiere di El Karama, di aprirsi un varco verso il cuore della città, area in cui l’Isis ha arretrato le proprie ridotte difensive. L’Onu denuncia l’uso jihadista dei civili come scudi umani da contrapporre all’offensiva dell’esercito: “Abbiamo rapporti secondo cui l’Isis avrebbe trasferito a forza, su camion e mini-bus, circa 25.000 persone da Hammam al-Alil in direzione di Mosul” ha dichiarato la rappresentante delle Nazioni Unite Ravina Shamdasani, “e siamo al corrente di numerose esecuzioni di massa messe in atto dai miliziani.”
Solo nel mese di ottobre, in Iraq, sono rimaste uccise 1.792 persone, di cui tre quarti fra i civili. Il Pentagono ha tracciato un quadro numerico delle forze in campo: 5.000 uomini del Califfato, accerchiati da oltre 40.000 soldati, suddivisi tra corpi speciali iracheni, peshmerga e milizie sciite, sempre disposte, queste ultime, all’interno degli scontri con l’Isis, ad altrettante crudeli vendette e ritorsioni nei confronti delle popolazioni sunnite stanziate nelle zone liberate. Oltre un milione di civili, dunque, sarebbe intrappolato nella morsa del conflitto e, lungo la linea del fronte orientale, si è provveduto all’allestimento di vasti campi profughi. I 950 militari italiani, presenti nell’area, contribuiscono in modo incisivo alla campagna di liberazione da Daesh. Grazie ai missili anti-carro Folgore, forniti dal nostro esercito, i peshmerga hanno distrutto l’artiglieria pesante di Al Baghdadi e il comandante del nostro contingente in Iraq, Angelo Ristuccia, rende nota – dalla base di Erbil – l’importanza dell’attività italiana nell’addestramento di oltre 6.000 uomini in Kurdistan, oggi in condizione di sminare terreni, di combattere e di costituire, negli anni a venire, le nuove forze di sicurezza del Paese.
Dal canto loro, i seguaci del Califfo sono pronti a vendere cara la pelle, i foreign fighters disposti all’estremo “sacrificio”, senza rinunciare minimamente alle brutalità con cui si sono mostrati al mondo fin dall’inizio: donne e bambini sui tetti delle case in cui i miliziani sono asserragliati, per difendersi dai raid aerei; muri di fuoco nelle trincee, riempite con petrolio qualora le truppe curdo-irachene dovessero attaccare la linea difensiva jihadista. Altre notizie da verificare dipingono una Mosul cosparsa di ordigni artigianali contenenti sostanze chimiche assai nocive. Il generale dei peshmerga, Sirwan Barzani, conferma l’impiego da parte dell’Isis di armi chimiche, che avrebbero già gravemente intossicato molti suoi soldati.
Mosul, seconda capitale di Daesh, dopo la città di Raqqa in Siria, è senz’altro un punto di svolta nel debellamento del sedicente Stato islamico. Gli scontri a fuoco, ora, continueranno senza soluzione di continuità, di casa in casa.