USA, otto novembre

Nelle elezioni presidenziali del prossimo martedì si gioca non solo una buona parte del futuro degli Stati Uniti, ma del corso che avranno le relazioni internazionali dei prossimi anni ed oltre e, quindi, anche il divenire europeo e quello italiano. Dalla fine della guerra, ogni elezione presidenziale americana ha avuto significati universali, ma mai come questa volta le alternative sono chiaramente delineate.

E se è frustrante pensare che, ancora una volta, le sorti del “mondo libero” (o del mondo “tout court”) dipendono dagli umori e dalle bizze di quello che alla fine può risultare un pugno di elettori USA, non possiamo che accettarlo. Che rema contro l’unità europea ne porta parte non lieve di responsabilità. Il calcolo che tante piccole patrie indipendenti e sovrane, libere di fare quello che pare loro, richiede come correlato l’esistenza di un Grande Alleato oltre Atlantico, che ci tuteli e, quando occorre, venga a salvarci dai guai che noi stessi ci creiamo. Ma se vince Trump, il risveglio sarà doloroso per tutti, molte certezze cadranno e dovranno rivedersi molte vecchie scelte.

I due candidati arrivano all’elezione praticamente appaiati nei sondaggi, confortati dai primi voti già affluiti. Trump, in partenza, era un candidato forte nella destra, ma debole in molti settori dell’elettorato. Altri avversari democratici lo avrebbero battuto senza grandi sforzi. La Clinton si è dimostrata una candidata più che vulnerabile, e ha disperso in poche settimane il vantaggio che aveva dopo il secondo dibattito. Peccato! Ma così vanno le cose in un sistema democratico aperto e competitivo come quello USA.

Nella notte tra l’8 e il 9 molti, in tutto il mondo, rimarranno svegli aspettando i risultati di questa storica competizione che, direttamente o mediatamente, inciderà sulla vita di tutti.

©Futuro Europa®

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