Terremoto, hacker del Bel Paese
Il terremoto sta all’organizzazione di un Paese come l’hacker sta alla sua rete informatica: ne evidenzia i punti deboli. E lo sciame sismico che da agosto sta investendo la spina dorsale della Penisola, di punti deboli ne sta evidenziando diversi. Non solo a livello urbanistico: soprattutto a livello informativo. A partire dai fatti clamorosi: come il ritardo sul grado del sisma di Norcia, sul quale per ben venti eterni minuti non sono arrivati dati nazionali e nell’emergenza alcuni media come Sky hanno riportato il grado 7,1 della scala Richter dato dallo United States Geological Survey (USGS). Già, perché i sismografi sono in rete mondiale. E quelli dell’USGS, ad esempio, riportano il dato disponibile entro 2 minuti dal sisma. Alle 8.00 è giunta la stima a 6.1 dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia, poi corretta dallo stesso INGV a 6,5 dopo altri trenta minuti: un ritardo anomalo rispetto al ‘tempo reale’ del Servizio Geologico Nazionale di un tempo e dell’Istituto Nazionale di Geofisica e Vulcanologia oggi, e neanche il primo caso, visti i trentaquattro minuti per la prima stima ufficiale al grado 6 di quello di Amatrice.
Un fatto, a seguito del quale il fiorire di polemiche, e di bufale, non deve stupire. Anche perché, se il ritardo è dovuto – come è stato detto – a nuove elaborazioni dei dati lunghe e complesse rispetto al passato e ‘accettate’ entro i trenta minuti, non si comprendono due cose: primo, come si fa ad impiegare trenta minuti per calcoli del genere; secondo, perché noi ci siamo cacciati in questo ginepraio e Paesi come gli Usa no; terzo, perché queste novità non le si è spiegate ai cittadini e, quarto, a cosa serve un dato emergenziale mezz’ora dopo un evento del genere. A cosa, se non per gli archivi e le questioni legali.
Come al solito, a salvare la faccia del Paese ci hanno pensato gli addetti all’emergenza: Vigili del Fuoco, Carabinieri, Forestali, Poliziotti, Finanzieri, e poi Medici e Infermieri, e poi i volontari. Ma, a partire dalla lenta comunicazione sulla scossa sismica, quello che emerge nel suo complesso è un deficit organizzativo che ha il suo buco nero nell’informazione. Informazione non solo come ‘media’, ma in senso generale. L’informazione, che in un Paese normale è sacra in quanto garanzia di democrazia, per quanto riguarda il rischio sismico è mancata, dai programmi elettorali alle bacheche dei Comuni. I ricercatori ci dicono da decenni che mezza Italia è ad alto rischio, sismico ma anche idrogeologico: ma allora perché, di fronte ad un rischio così grave, oltre a curare l’emergenza non abbiamo investito a sufficienza nella prevenzione? Cosa si è messo in mezzo, tra i Geologi, i Geografi, gli Ingegneri e tutti gli esperti che allertavano il Paese, e i cittadini che avevano diritto alla sicurezza? Cosa, fra gli esperti e l’inestimabile patrimonio artistico dei borghi del Bel Paese? Forse una burocrazia più interessata a gestire fondi e progetti che a fare prevenzione; e la pletora dei tecnici del cemento facile che gli ronza intorno – e che ora è nel mirino dei magistrati che indagano sui crolli di Amatrice.
E’ accaduto che nel 1994 il Servizio Geologico Nazionale è stato chiuso – pardon, ‘riorganizzato’ – che l’informazione ambientale è stata emarginata dai media e soprattutto dai TG (vedi la denuncia della Carta di Olbia dell’UCSI, 2015), che nelle scuole superiori l’insegnamento della Geografia è stato anch’esso emarginato. Invece di fare cultura, e di fare sistema, e di lavorare seriamente per la prevenzione, la macchina Italia ha lavorato in retromarcia, ed ha creato una palude di disinformazione nella quale le grida di allarme dei ricercatori da una parte e la preoccupazione della gente dall’altra sono stati divisi, e dispersi. E’ in questa palude che al posto di quelli in travi in legno sono spuntati per esempio ‘adeguamenti antisismici’ a forza di solai – orizzontali – di pesantissimo cemento posati su pareti in pietra: i Giapponesi, maestri delle costruzioni antisismiche, le travi in cemento, le usano n verticale e quindi in compressione, come tronchi di bambù; non solo i Giapponesi ovviamente, ma anche qualsiasi serio progettista del nostro Paese. E di legno si parla, per fortuna, sempre più. E sarebbe da capire quanti dei solai crollati, cemento piazzato in orizzontale tra un muro in pietra e l’altro, fossero almeno ingabbiati in montanti verticali in cemento anch’essi. E così via.
Alla fine, nel ‘crollo di sistema’ del Bel Paese sotto i colpi dell’hacker-terremoto, tutto ruota intorno alla mancanza di informazione: che si alimenta con quella della formazione, didattica ma anche civile, che nasce dalla scomparsa della Geografia e dalla mancanza di qualche forma di Educazione Ambientale nella Scuola superiore. Nella nostra poco compiuta democrazia, costruita su una considerazione ottocentesca del ‘popolo bue’ e su un conseguente dirigismo statalista di fatto, e affidata con un assegno in bianco ad una tecnocrazia nella quale i tecnici migliori sono pure emarginati, non conta conoscere, far conoscere, sapere e far sapere, e quindi far le cose per bene: solo così si spiega come, con una scossa ‘media’ del 6.5 Richter, borghi interi, che da trent’anni potevano essere consolidati pur con l’aspetto originale, siano venuti giù. Le persone che hanno perso la vita. Quelle che hanno perso un futuro sereno. E le case, le chiese, lo splendore storico del Bel Paese. Che disastro, per la miseria. Un disastro che poteva e doveva essere evitato.
[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]