La scalinata di Paolo
Pensavo a Paolo Bulgari. Non lo conosco personalmente, so bene chi sia, appartiene a una famiglia di gioiellieri che da generazioni lavorano a Roma nella famosissima boutique di Via dei Condotti. A un certo punto, Paolo ha generosamente finanziato la ripulitura e il restauro della Scalinata di Trinità dei Monti a Piazza di Spagna e a due passi dalla sua sede, un’opera che risale al 1725. Chi non la conosce! E’ in quasi tutte le fotografie dei milioni di turisti che ogni anno arrivano nella Capitale, è uno dei simboli della città.
Guardandola ogni giorno, Paolo di sicuro avrà storto la bocca vedendo quanta gente si sedeva sulle scale, scartava cartocci unti e mangiava kebab, magari lasciando i resti in terra, oppure fumava e spegneva cicche nelle lattine che poi indecorosamente sarebbero rimaste a fare la guardia.
Una grande percentuale di questi turisti da accampamento sarebbero da multare per oltraggio al bello; mentre, nelle loro miserabili terre di provenienza, sono cittadini modello. Qui si scatenano; a casa loro differenziano tutto, anche i moscerini spiaccicati sui vetri delle macchine, rigorosamente nell’umido, mentre qui da noi scatenano il peggio. Giovani rasta con la paghetta fumano e scrivono il loro nome sui gradini, perché il mondo sappia, oppure gridano la loro tormentata storia con ragazze che sono già potenziali delinquenti e che rispondono spesso a nomi esotici.
Tutto questo deve aver pensato Paolo. E allora ha deciso di dare una ripulita. La Scalinata ha chiuso per mesi, sottoposta a un lifting rigenerante. Ha cominciato a mostrare il bianco delle sue scale, gli angoli dolci delle curve dei corrimano, i suoi 135 gradini un po’ consumati. Guardarla così, sola, splendente, faceva bene al cuore. Passare lì sotto, guardare gli operai al lavoro, trasmetteva una sensazione di ordine, di pace.
Poi l’inaugurazione. Dopo un mese Paolo, passando lì davanti, ha visto che era tornato tutto come prima, che le cicche masticate erano già disseminate come a formare una costellazione dell’orrido, che i selfie imperavano in mezzo alla monnezza. E ha pensato che mai più avrebbe speso soldi per Roma.
Fino a che nessuno controllerà questo fiume in piena di maleducazione, ponendo gli argini dettati dalla legalità, noi meritiamo il peggio. E che si giuochi e si distrugga; sotto il naso di sonnacchiosi vigili, grassi e sciatti, più interessati a vessare un venditore di caldarroste abusivo che a difendere il decoro della nostra città.