Berlusconi nel suo labirinto
Ho conosciuto Stefano Parisi 25 anni fa, quando era Capo della Segreteria di Gianni De Michelis, allora Ministro degli Esteri (uno dei più discussi e discutibili, ma anche dei più brillanti) e io ero Direttore Generale degli Affari Economici. Avevamo frequenti occasioni di parlarci, perché Gianni lo usava come normale intermediario con me e l’ho trovato sempre serio, discreto, efficace e integro. Giuliano Amato, che lo stimava, lo chiamò a Palazzo Chigi, poi fu Direttore di Confindustria e, alla fine, imprenditore. Ha l’età giusta, sessant’anni, una notevole preparazione economica e tecnica, non è mai stato un politico di professione. Guardandolo nell’intervista di martedì scorso a Porta a Porta, l’ho trovato maturato e mi sono detto: non sarebbe un cattivo Capo del Governo.
Ma la strada è lunga e difficile. A un certo punto, Berlusconi alluse a lui come suo possibile leader del centro-destra. E lui si è messo diligentemente in moto, percorrendo l’Italia nel tentativo di produrre una nuova e più forte aggregazione moderata, liberale ed europeista, capace di riconquistare i consensi che a suo tempo raccoglieva Forza Italia. Che questioni di programmi e di leadership lo avrebbero rapidamente opposto ad altri esponenti di FI e a Matteo Salvini era evidente sin dal primo giorno. Ma se fosse stato sostenuto fedelmente dal suo mentore, qualche possibilità di superare questi ostacoli l’avrebbe forse avuta. Ora, però, in una interista radio, Berlusconi lo ha seccamente licenziato, dicendo che, se non va d’accordo con Salvini, è fuori del gioco.
Perché lo ha fatto? La prima spiegazione che mi viene in mente è la più semplice: l’ex-Cavaliere odia l’idea di un successore, anche se “unto” da lui stesso. Non gli va di fare il “Padre nobile”. Al centro vuole starci lui, a comandare deve essere lui. Ricordate il caso di Alfano? Incoronato, poi detronizzato e alla fine costretto alla secessione. Ma la verità è che, al di là dell’egocentrismo di Berlusconi, ci sono altre e politicamente gravi ragioni. Senza un’alleanza con la Lega, il centro-destra non ha i numeri per vincere. Ma l’alleanza con Salvini allontanerebbe molti elettori “moderati”. Secondo i sondaggi (per quello che valgono), il PD, col 32%, resta il più votato, ma i 5Stelle lo tallonano col 29%. Tolta qualche frazione indipendente, al centro-destra resta disponibile un 32 o 33 %, a patto che si sommino i voti di FI, quelli della Lega e quelli di Fratelli d’Italia. Ma quanti elettori moderati accetterebbero Salvini come leader? E la Lega è pronta ad accettare qualcun altro?
Fino a qualche mese fa, i calcoli erano che il PD sarebbe andato al secondo turno, contro una centro-destra indebolito e diviso e un Movimento 5stelle a fare da terzo incomodo. Poi è venuta la doccia fredde delle Amministrative, con le vittorie grilline a Roma e Torino, ed ora i sondaggi. Se il PD si trovasse ad affrontare i grillini al secondo turno, chi vincerebbe? I casi Brexit e Trump non insegnano nulla sull’imprevedibilità degli elettori?
Naturalmente, molto dipenderà dai tempi e dalle circostanze in cui si voterà (anche per questo, affrettarsi a mandare a casa Renzi potrebbe essere un suicidio), e ovviamente dalla Legge elettorale. Se si modifica quella in vigore ammettendo il premio di coalizione, le cose possono cambiare, purché la coalizione di centro-destra sia unita e credibile, con un programma impegnativo e condiviso (questa sembra la scommessa di Parisi). Lo scenario sarebbe poi tutto diverso se si tornasse alla proporzionale. Allora, una “grande coalizione” di qualche tipo sarebbe inevitabile, al prezzo altrimenti di traversare un lungo periodo di incertezza, come in Spagna.
Nell’intervista a Bruno Vespa, Stefano Parisi si è detto deciso ad andare comunque avanti, mostrando di credere che Berlusconi lo sosterrà. Pia illusione? D’altra parte, chi altro dentro FI ha autorità e profilo da leader, se non, in fin dei conti, Berlusconi stesso? Questo è il labirinto in cui, con le sue successive insensatezze, col suo andare a zig-zag, lui si è cacciato, ha cacciato il centro-destra e, in definitiva, tutti noi.