Trump e l’Ambiente
Trump e l’Ambiente? C’è da essere ottimisti. Le dichiarazioni dell’allora candidato presidente, che in campagna elettorale si era iscritto fra i negazionisti della causa umana dei cambiamenti climatici e aveva annunciato di voler svincolare gli Usa dall’accordo sul clima di Parigi, sono ancora nella memoria di tutti. Ma nel suo intervento alla COP22 sul Clima a Marrakech, il Segretario di Stato Usa John Kerry ha detto: “Nel periodo che ho trascorso nella vita pubblica, una delle cose che ho imparato è che alcune questioni sembrano un po’ diverse quando sei in carica rispetto a quando sei in campagna elettorale”.
Il fatto è che gli occhi degli Americani, e gli occhi di tutto il mondo, sono puntati su Washington. Dopo l’elezione di Trump, per Marrakech, e per gli accordi di Parigi, si era temuto il peggio. Ma i Paesi membri hanno sancito congiuntamente che “la direzione di marcia nella lotta ai cambiamenti climatici avviata a Parigi è irreversibile”. E la COP22 di Marrakech si è chiusa con un solido accordo per attuare gli obiettivi di Parigi entro il 2018. A Marrakech, la Cina in particolare ha fatto la voce grossa, ribadendo di voler andare avanti sugli impegni sul Clima presi bilateralmente con gli Usa e nelle Conferenze dell’Onu e ricordando che “onorare gli impegni serve anche per garantire la fiducia reciproca”. “Tutte le parti – ha detto il rappresentante della Cina per il cambiamento climatico, Xie Zhenhua – devono accelerare il mantenimento dei loro impegni per il periodo pre-2020, per costruire una reciproca fiducia come base per la realizzazione a partire dal 2020 dell’Accordo di Parigi e il miglioramento delle misure”. La Cina ha ricordato gli impegni di investimento dei Paesi ricchi per la reindustrializzazione ‘green’ dei Paesi in via di sviluppo, fra i quali la stessa Cina ancora si iscrive. Anche l’Europa non è stata da meno, e a Marrakech i suoi leader nazionali hanno partecipato in massa e al massimo livello – c’erano fra gli altri il presidente Hollande e la cancelliera Merkel, ma Renzi non c’era – ed ha fatto quadrato forte delle sue storiche ed evolutissime politiche per la sostenibilità.
Politica? Non solo, c’è di più, il business: “Sono ottimista per i mercati, per gli impegni che il mondo del business ha assunto e che costringeranno i politici a raggiungere gli obiettivi”, ha detto Kerry. Perché la strategia non coercitiva ma di ‘green-marketing globale’ inaugurata dall’ONU a Parigi, la strategia di portare i grandi investitori a spostare i propri investimenti dalle fonti di energia fossile alle rinnovabili ad esempio, sta funzionando alla grande, tanto che “investire in energia pulita è una scelta di senso economico. Nessuna nazione potrà fare meglio, se resta fuori”, ha sancito Kerry a Marrakech. Dopo Parigi, sono i famosi ‘mercati’ a chiedere più ‘green economy’. Sono le imprese. E’ il mondo degli affari. Basti pensare che trecentosessanta aziende, americane e non solo, fra le quali colossi come Levis, Nike, Dupont, Hewlett Packard, Kellog e Starbucks, hanno indirizzato al nuovo presidente Usa un comune appello al rispetto degli impegni sul clima, nel quale sostengono il peso dei loro investimenti ‘green’. Bello, però, che questa scelta di arido marketing globale sia nata da uno slancio etico, quello per salvare l’equilibrio climatico, il Pianeta e l’Uomo dalla distruzione: uno slancio che per una volta ha dato senso vero ai concetti di ‘vision’ e – addirittura – ‘mission’ che del linguaggio aziendale fanno parte.
La risposta della comunità internazionale al rapporto conflittuale fra il Trump elettorale e l’Ambiente, ed in particolare la green economy, ha evidenziato che gli Stati Uniti non sono più una potenza principalmente strategica, ma una realtà economica inserita nel mercato globale, col quale devono piuttosto fare i conti. Sebbene geneticamente votati al capitale, gli Usa si trovano ora a confrontarsi con un capitale mondiale che li sorprende, perché si sta evolvendo oltre la loro visione delle cose, e che da Parigi ha deciso di cambiare strada e puntare – per esempio in materia di energia – sulle energie rinnovabili. Se l’America firmasse l’abiura annunciata da Trump nei confronti della green economy, si troverebbe tagliata fuori dal nuovo gigantesco business mondiale. Perché la green economy pervade ormai tutti i settori dalle materie prime alle filiere produttive. Ma quello che Trump non ha ancora, probabilmente, calcolato, è che voltando le spalle alle politiche sul Clima, condannerebbe a morte anche ciò che del business gli sta più a cuore, tantissime imprese che hanno puntato sul green, che sono imprese statunitensi. E’ immaginabile tutto questo? Certo che no.
Ecco perché, Trump o non Trump, sulle future politiche degli Usa nei confronti dell’Ambiente c’è da essere ottimisti. E fare una scommessa: su quanto ci metterà, il magnate Trump, a rinunciare a vedere la green-economy come una bandiera dell’avversario Obama, e a riconoscerla come un nuovo, promettente, business.
[NdR – L’autore cura un Blog dedicato ai temi trattati nei suoi articoli]