Referendum e voto all’estero

Come “italiano all’estero” sono profondamente arrabbiato con i propositori del “No” che annunciano ricorso se i nostri voti dovessero essere determinanti per la vittoria del “Si”. Io non ho idea di quanti elettori residenti all’estero eserciteranno il loro diritto di voto, né verso quale risposta si orientino. Calcoli e sondaggi in materia mi sembrano del tutto fantasiosi. Nelle elezioni al Senato del 2006 furono decisivi due senatori eletti all’estero (in Brasile e in Argentina) ad assicurare una sparutissima maggioranza al Governo di Romano Prodi. Ma fu un caso unico.

Quello che indigna è il considerare gli italiani all’estero come “di seconda classe”. Lo so, lo so, l’eminente costituzionalista che ha preannunciato ricorso si è riferito alla “non segretezza” del voto espresso all’estero e ha detto una sciocchezza enorme: che il Governo avrebbe dovuto organizzare il voto nelle sedi diplomatiche e consolari. Ma in che mondo vive questo signore? Non sa che, in Paesi come il Brasile, l’Argentina, l’Australia e la maggioranza degli altri, la “ratio” degli uffici italiani è di uno ogni centomila elettori? Lo sa che, salvo che nelle città maggiori, la gente vive a centinaia e spesso (è il mio caso) a migliaia di chilometri dai Consolati competenti? Davvero certa gente apre la bocca solo per dare fiato alle più inverosimile stupidaggini! Chi ha dato una laurea e una cattedra al signor Pace?

L’argomento usato è, inoltre, falso. Il sistema di triplice busta è complicato, ma garantisce segretezza. È stato sperimentato in tre Elezioni politiche e nessuno ha mai fatto ricorso, neppure il PDL nel 2006. Nessun altro degli oppositori  “politici” della riforma ha, del  resto, fatto appello a questo argomento. La verità è che, al di là di questo cavillo da azzeccagarbugli, affiora in chi lo sostiene la malcelata opinione che chi vive fuori d’Italia (per ragioni di necessità, lavoro o scelta personale) è un cittadino di secondo ordine, non qualificato a partecipare e – se del caso – a pesare in modo decisivo sulle scelte nazionali.

Non è la prima volta che lo sentiamo. Durante il lunghissimo e tormentato dibattito per la modifica costituzionale che consentì il voto all’estero, l’argomento fu più volte avanzato, con varie scuse: gli italiani nel mondo non pagano tasse in Italia, non hanno accesso a tutta l’informazione necessaria e così via. Ora, io ho sempre pensato e scritto che il voto all’estero, così com’è organizzato, è lungi dall’essere ideale. Fuori d’Europa, le circoscrizioni sono troppo grandi, le campagne elettorali quasi impossibili, il peso delle strutture organizzate, come patronati, associazioni e sindacati, specie nelle preferenze, decisivo. Ma è meglio di niente.

Ora, questi difensori ad oltranza della Costituzione mostrano assoluto spregio per una norma che della Costituzione è ormai – e speriamo resti sempre – parte integrante e, insieme ad essa, per milioni di persone che si sentono e vogliono restare italiane a tutti gli effetti.

©Futuro Europa®

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