Cento giorni per Trump

Dopo la formazione definitiva della squadra di governo, fase tuttora in gestazione, l’elemento di maggior interesse dell’era Trump – per osservatori e politologi – è il reale contenuto della sua agenda nei primi cento giorni di mandato. Nell’arco di tale orizzonte temporale, si ha – in genere – una prospettiva della linea politica di chi conquista la leadership di un Paese; sono proprio le prime mosse, infatti, a rivelare la fisionomia del governante e le questioni ritenute prioritarie.

L’interrogativo comune è, dunque, se il neo Presidente rispetterà pedissequamente il programma elettorale anti-establishment, che gli ha garantito accesso alla Casa Bianca, o cambierà parzialmente atteggiamento, mediando su alcuni punti per non ripudiare in toto il lavoro del predecessore Obama e gli impegni internazionali già assunti.

Sebbene la probabile composizione della sua Amministrazione denunci un’impronta marcatamente conservatrice e intransigente, è pur vero che Trump, su alcuni temi, sta cercando di stemperare le posizioni della prima ora. Kellyanne Conway, manager della sua campagna elettorale, ha dichiarato alla stampa che il Presidente non aprirà nuove inchieste sul Mailgate, lo scandalo che ha travolto Hillary Clinton, nonostante – sotto un profilo formale e legale – debbano essere il Procuratore Generale e l’Fbi a decidere in proposito.

In un video messaggio di due minuti e mezzo, diffuso nei giorni scorsi, Trump non ha fatto menzione alcuna all’annunciata costruzione del muro col Messico, né all’abolizione della riforma sanitaria di Obama. Le  indicazioni hanno riguardato principalmente il comparto economico-commerciale, con l’annesso problema occupazionale. In materia, il suo concetto di base coincide perfettamente con una visione protezionistica dell’economia nazionale: “America first!”

Trump ha dichiarato di voler recedere dalla Trans-Pacific Partnership (TPP), accordo commerciale imputato di essere causa del depauperamento economico statunitense e della perdita di milioni di posti di lavoro. L’uscita dal TPP sarà rimpiazzata e compensata dalla stipulazione di nuove “equilibrate intese commerciali bilaterali” con ogni singolo Paese del Pacifico, allo scopo di riportare produzione, innovazione, ricchezza e occupazione entro i confini nazionali.

La nuova Amministrazione intenderebbe anche procedere a una deregulation energetica, rimuovendo le restrizioni normative che, di fatto, inibiscono il settore della produzione interna di energia, inclusa quella derivante dal carbone pulito e dallo shale (gas e olio di scisto), estratto con tecniche di perforazioni orizzontali e fratturazioni idrauliche (fracking) pericolose per l’ambiente e la salute umana; uno schiaffo ai verdi, ma – nel contempo  – anche a migliaia di aziende americane che hanno incentrato il loro core-business sulla green economy, uno dei cavalli di battaglia di Barack Obama. Questo sarà, forse, un altro punto da smussare e riequilibrare per non discriminare, nel settore industriale, chi decide di produrre salvaguardando natura e ambiente.

In tema di semplificazione legislativa, è intenzione di Trump varare il principio secondo cui, per ogni nuova norma, siano eliminate due vecchie leggi. Sull’immigrazione, è prevista una stretta sui visti, ma non vi è alcun accenno alle deportazioni di massa ventilate in campagna elettorale.

Trump, continuamente accusato di conflitto d’interesse tra le attività finanziarie e commerciali di cui è titolare e il nuovo ruolo d’inquilino alla White House, si è temporaneamente svincolato dalle critiche, annunciando la costituzione di un blind trust, controllato dai figli, che gestisca i suoi affari. Inoltre, in tema di riforma sull’etica, ha dichiarato di voler imporre un bando di cinque anni sulla possibilità che alti funzionari di Stato, non appena conclusa la propria carica pubblica, diventino lobbisti e un bando a vita nell’ipotesi che l’attività di lobbying sia da costoro esercitata in nome e per conto di governi stranieri.

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