Cronache dai Palazzi

Terminata la campagna referendaria, l’Italia torna a fare i conti con la crescita e l’occupazione. Secondo l’Istat, nonostante l’assenza di crescita nell’ultimo trimestre, il 2016 si chiuderebbe con un aumento del Pil pari allo 0,9% e quindi al di sopra della previsione del governo (+0,8%) indicata nel Documento di economia e finanza. L’istituto di statistica registra nello specifico una crescita pari all’1% nel terzo trimestre 2016 (Germania +1,7% e Francia +1,1%) rispetto al medesimo periodo del 2015. In particolare la ricchezza prodotta da luglio a settembre raggiunge il livello più elevato degli ultimi 4 anni, ossia 392,3 miliardi di euro. “L’economia cresce al ritmo più alto dal 2011 e crea lavoro”, twitta il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan. Il governo rimarca quindi la “direzione giusta” per cui “l’Italia ha cambiato segno”, come scrive il premier Renzi sui social, e “il cambiamento aiuta ad accelerare”, chiosa invece Padoan.

Sono noti anche i dati provvisori sul lavoro ad ottobre che registrano una flessione sia degli occupati sia dei disoccupati su base mensile. Trenta mila unità in meno per gli occupati (-0,1%) mentre coloro che cercano un occupazione  sono 37 mila unità in meno (-0,2%), rispetto al mese di settembre. Una partecipazione più bassa al mercato del lavoro sarebbe da addebitare all’ampliamento del bacino degli inattivi (+0,6%, circa 82 mila unità). Tutto ciò su base annua mentre se si riferisce allo stesso periodo dello scorso anno (ottobre 2015) gli inattivi in verità diminuiscono. Rispetto ad un anno fa ci sono infine più donne che lavorano (+1,2%), 117 mila unità in più, mentre gli uomini registrano un aumento dello 0,4%. In definitiva il tasso di disoccupazione scende all’11,6% e in un anno sono 174 mila i posti di lavoro in più.

L’Europa torna, a sua volta, ad insistere sul rigore e nella riunione dell’Eurogruppo del 5 dicembre si tireranno molto probabilmente le somme a proposito di politica di bilancio della zona euro. Il presidente dell’Eurogruppo,  Jeroen Dijsselbloem ha, nel frattempo, attaccato la Commissione Ue per aver suggerito un incoraggiamento fiscale dello 0,5% nel 2017 interpretando “alla leggera” le regole del Patto di Stabilità. L’esecutivo di Jean-Claude Juncker non incassa però il colpo basso e ribadisce la necessità di una svolta per “sostenere la ripresa”. Il giudizio definitivo sulla Legge di Bilancio è comunque ancora sospeso e le decisioni della Commissione Ue risentiranno di certo del dibattito dell’Eurogruppo del 5 dicembre.

Il presidente del Consiglio Matteo Renzi ha ammonito Dijsselbloem accusandolo di non avere “grande consapevolezza di come vanno le cose in Italia”. Renzi ha inoltre assicurato di nuovo il “veto” sulla revisione di bilancio pluriennale dell’Unione europea. Per il ministro dello Sviluppo economico Carlo Calenda il presidente dell’Eurogruppo Dijsselbloem “non comprende che la questione non sono i vincoli di bilancio, ma il fatto che l’Europa è in mezzo a sfide difficilissime, la prima delle quali è una chiarissima disaffezione dei cittadini”.

Per Dijsselbloem però “la prima responsabilità della Commissione è di far rispettare il Patto”. Si tratta in pratica di “una responsabilità cruciale: tutti i bilanci devono procedere verso bilanci strutturali in equilibrio”. In sostanza “tra la raccomandazione sull’espansione fiscale e il rispetto delle regole sulla traiettoria fiscale che derivano dal Patto c’è qualche tensione”, dichiara il presidente dell’Eurogruppo.

Il conflitto che si aperto attorno alla cosiddetta Fiscal Stance rischia quindi di provocare una vera e propria crisi istituzionale. Il portavoce dell’esecutivo comunitario ribadisce che “il pacchetto tiene pienamente conto degli obblighi previsti dal Patto” ma, nel contempo, “sottolinea il bisogno di sostenere la ripresa”. In definitiva una Fiscal Stance di segno positivo dovrebbe contenere gli animi populisti e antieuropeisti fomentati dal perseverare dell’austerity europea.

Il presidente Dijsselbloem insiste invece sul Patto che rappresenta “il collante” e “l’ancora di stabilità” della zona euro. Per di più in Paesi come l’Italia “servono ulteriori e determinanti progressi per preservare la sostenibilità delle loro finanze pubbliche – ha sottolineato il presidente dell’Eurogruppo – e per rafforzare la loro capacità di assorbire gli choc”. Choc che una certa scelta referendaria potrebbe acuire.

L’intesa governo-sindacati ha infine sbloccato il contratto degli statali fermo da sette anni, garantendo a 3,3 milioni di lavoratori del settore pubblico un aumento medio di 85 euro lordi al mese. Sono compresi di fatto anche gli insegnanti, superando così le azioni meno espansive previste dalla riforma della Buona scuola. Aumento medio vuol dire che alcuni prenderanno di più e altri di meno, “con un maggiore sostegno ai redditi bassi”, ha precisato il ministro della Pubblica amministrazione, Marianna Madia. Il contributo di 85 euro non ‘mangerà’ inoltre quello di 80 euro dei quali hanno beneficiato circa 600 mila dipendenti pubblici, che con il nuovo contratto potrebbero superare i 26 mila euro lordi all’anno di reddito.

In sostanza, governo e sindacati (Cigl, Cisl e Uil) si sono impegnati “nelle sedi dei tavoli di contrattazione, a evitare eventuali penalizzazioni indirette (…) sugli incrementi già determinati”, come si legge nell’accordo che non corrisponde però al contratto vero e proprio. Si tratta in sostanza di un accordo politico e l’aumento di 85 euro lordi al mese viene inteso “a regime”, in quanto verrà portato a compimento nell’arco di tre anni. Costerebbe troppo, circa 3 miliardi, mentre sarà sufficiente un miliardo che verrà prelevato dal fondo di circa 1,5 miliardi di euro, già inserito nella Legge di Stabilità, dal quale si attingerà anche per soddisfare altre voci come l’adempimento del piano delle nuove assunzioni e la stabilizzazione del bonus da 80 per le forze dell’ordine. Occorrerà quindi reperire risorse aggiuntive rispetto ai 5 miliardi previsti nei prossimi tre anni. L’accordo prevede inoltre dei premi attribuiti ai dipendenti pubblici tenendo conto non solo della produttività, da misurare “con nuovi sistemi di valutazione”, ma anche in base ai “tassi medi di presenza” che andranno “incentivati” con specifiche “misure contrattuali”. È previsto infine un nuovo confronto a proposito di “malattia, congedi e permessi” oltreché “forme di welfare integrativo” ottenute trasformando in servizi una parte dello stipendio. È previsto anche un “superamento del precariato” ma esclusivamente attraverso il rinnovo dei contratti già esistenti.

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