Cronache dai Palazzi

Il nuovo governo Gentiloni  parte dal lavoro e dalle emergenze sociali. “Non ignorerò il disagio, specie nelle fasce più deboli del ceto medio e nel Mezzogiorno dove l’emergenza-lavoro è più drammatica”, ha affermato il presidente del Consiglio. Dopo aver incassato la fiducia delle due Camere e aver, in particolare, assicurato la propria fiducia al Senato della Repubblica, il nuovo premier ha sottolineato che l’esecutivo deve ripartire dall’Italia reale, scontenta, quella che molto probabilmente ha determinato il risultato del referendum. “Chiedo la vostra fiducia ed esprimo la mia fiducia nel Senato”, ha affermato Paolo Gentiloni in Aula a Palazzo Madama. E, gioco della sorte, l’ex ministro della Farnesina ha incassato la fiducia con gli stessi numeri di Renzi nel 2014: 169 sì e 99 no.

Il premier Gentiloni rivendica la continuità con l’esecutivo Renzi per una questione di ‘responsabilità’: “Non è un governo di inizio legislatura, ma deve completare la eccezionale opera di riforma, innovazione, modernizzazione”. Non sono mancate ovviamente le proteste dai banchi dell’opposizione ma il nuovo premier ha fin da subito bacchettato l’Aventino: “Invito chi si è battuto contro inesistenti tentativi autoritari a rispettare il Parlamento partecipando alle riunioni in modo civile”. Ai senatori Gentiloni ha chiesto dignità e responsabilità, mentre di Matteo Renzi ha sottolineato la “coerenza” dimostrata dimettendosi.

“Bisogna ricucire il Paese, rinunciare ai toni divisivi”, e a proposito di legge elettorale, una delle spine nel fianco per il nuovo governo, Gentiloni ha ribadito l’impegno del governo escludendo però una responsabilità di tipo assoluto: “Faciliteremo la ricerca di una soluzione e solleciteremo le forze politiche”. Il primo impegno la ricostruzione post terremoto, tantoché durante il passaggio della campanella Renzi ha donato a Gentiloni una felpa di Amatrice. Ma non solo. Ed inoltre un serio richiamo alla civiltà all’interno delle Aule parlamentari, troppo spesso teatro di sferzanti battibecchi. “Bisogna farla finita con l’escalation della violenza verbale. Il Parlamento non è un social network. Va ridata serenità qui dentro per ridare serenità al Paese”. Il core business del discorso di insediamento di Paolo Gentiloni sembra essere “sostituire lo scontro con il confronto”. Diciassette minuti e appena due applausi in un’Aula con molti scranni vuoti.

Gentiloni ha assicurato  “discontinuità almeno nel confronto” e ha sottolineato il “bisogno di convergenze larghe sui singoli provvedimenti”. Dato che “la politica e il Parlamento sono luogo di confronto dialettico non dell’odio e della post verità. Chi rappresenta i cittadini deve diffondere sicurezza, non paura”. Parole che hanno provocato un applauso.

Il nuovo presidente del Consiglio ha affermato inoltre di non volersi soffermare molto sul passato, pur rivendicando il “gran lavoro fatto”. “Da ora voglio occuparmi delle cose da fare”, ha detto Gentiloni rimarcando, nel contempo, il grande “rischio politico” della sua maggioranza la quale, in un modo o nell’altro, si assume “la responsabilità di andare avanti per portare il Paese al voto”. È necessario infatti riscrivere “regole elettorali serie e precise” e toccherà al Parlamento “trovare intese efficaci”. Il governo, ha dichiarato il premier non svolgerà il ruolo di “attore protagonista”, nella stesura della nuova legge elettorale. “Pur non restando alla finestra”. Nonostante i pronostici più diversi sulle prossime elezioni (maggio, giugno, nel 2018) Paolo Gentiloni ha sottolineato che quello attuale “sarà un governo a pieno titolo”. “Un governo di responsabilità” per il quale vale ciò che è scritto sulla Carta Costituzionale: “Il governo dura fin quando ha la fiducia del Parlamento”.

Ricostruzione post terremoto, messa in sicurezza del sistema del credito e “il lavoro, soprattutto nel Mezzogiorno”, sono in pratica le priorità lanciate dal nuovo premier. “Il governo è pronto ad intervenire, se necessario, per garantire i risparmi dei cittadini e la stabilità delle banche” e per affrontare “il disagio della classe media, in particolare il lavoro dipendente e le partite Iva”. In sostanza molti di coloro che hanno sbarrato il No sulla scheda elettorale dello scorso 4 dicembre.

Proprio sul tema del lavoro si dibatte in questi giorni dei tre referendum proposti dalla Cgil, in particolare di quello sul ripristino dell’articolo 18 e contro il Jobs Act. Gli altri due riguardano i voucher e le regole del codice degli appalti sugli infortuni. I voucher andrebbero utilizzati esclusivamente per le “prestazioni occasionali e accessorie”, come lavoretti domestici, di giardinaggio e di consegna a porta a porta, salvandoli dal nero.

Il quesito che riguarda la modifica dell’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori rappresenta il tasto dolente. La Cgil chiede la cancellazione  dell’articolo del Jobs Act che ha eliminato quasi in toto le sanzioni e il reintegro nel posto di lavoro in caso di licenziamento illegittimo, ciò che rappresenta il fulcro della riforma portata a termine dal governo Renzi. Un referendum per ripristinare le condizioni di un tempo, il vecchio articolo 18, significherebbe, in parte, vanificare l’operato dell’esecutivo precedente, anche se ancora una volta sarebbero i cittadini italiani a prendere una decisione.

“Contro l’abuso dei voucher che vanno ricondotti alla loro natura di strumenti legati a lavori occasionali, c’è già un disegno di legge”, ha dichiarato Cesare Damiano, presidente della Commissione Lavoro della Camera, che aggiunge: “Si può avviare un tavolo di confronto anche sull’articolo 18 che è senz’altro il punto più spinoso”. Di certo “non possiamo restare schiacciati  nella tenaglia: tenere i referendum o far cadere il governo”. La Corte Costituzionale darà il via libera o meno ai referendum proposti dalla Cgil nella seduta dell’11 gennaio.

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