Io che amo solo te (Film, 2015)

Io che amo solo te di Marco Ponti è persino tratto da un romanzo. Non solo, l’autore di quel romanzo (Luca Bianchini, così sapete chi evitare) ha scritto la sceneggiatura, insieme al regista, e ha persino collaborato ai dialoghi stile fotoromanzo Lancio o telenovela brasiliana. Definiamo il film con uno slogan: una pellicola idiota su un matrimonio idiota tra due idioti che sono stati generati da genitori idioti. Uno esce dal cinema e si sente un po’ idiota. Inevitabile. La sola cosa bella è la canzone di Sergio Endrigo – cantata da Alessandra Amoruso – che purtroppo arriva solo a metà film e ritorna sui titoli di coda. La fotografia sarebbe perfetta al naturale, ché Polignano a Mare è location stupenda, ma il regista – con l’aiuto di Roberto Forza – riesce a rovinarla, correggendo il tutto con colori pastello e dipingendo i notturni con quel giallo ocra televisivo che va tanto di moda.

Io che amo solo te è un prodotto indefinibile, vorrebbe essere commedia, a tratti si pensa che regista e scrittore abbiano voluto comporre un dramma sentimentale, infine si comprende che è come un quadro dipinto a casaccio, stile ignobile tela naif. Sciattezza di successo, la definirei, visto che una simile pellicola l’ha vista un sacco di gente e mica solo in Puglia. Mi dicono che l’omonimo libro di Luca Bianchini sia un best-seller, quindi il film è opera di cassetta, irrinunciabile, pronta per diventare un perfetto television movie con relativo sequel (La cena di Natale), già in post produzione.

Marco Ponti sceglie la coppia Scamarcio-Chiatti per interpretare i novelli sposi, mette in scena un’interminabile festa di matrimonio che picchia sul cafone, anticipata da tradimenti e ripensamenti. Non può mancare un fratello gay che fa outing e mette tutti d’accordo nel celebrarlo come una sorta di eroe. Ma la storia più ridicola è quella tra i consuoceri (Calzone e Placido), innamorati in segreto da decenni, che dopo un ballo galeotto alla festa di nozze vorrebbero fuggire insieme.

Insomma, un film dove si fa filosofia spicciola sul matrimonio, mettendo in ridicolo grandi temi già toccati da Massimo Troisi nel ben più interessante Pensavo fosse amore invece era un calesse (1991). Unica idea originale resta una sequenza con colonna sonora western che ricorda Mezzogiorno di fuoco in un’assolata Polignano. Tutto il resto è di una bruttezza irrimediabile, sceneggiato senza colpi di scena, girato senza fantasia con stile televisivo, interpretato sulla falsariga di una scrittura modesta e dilettantesca. Se questo è il cinema italiano, meglio emigrare in Romania.

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Regia: Marco Ponti. Soggetto: Luca Bianchini (romanzo  omonimo). Sceneggiatura: Marco Ponti, Luca Bianchini, Lucia Moisio. Fotografia: Roberto Forza. Montaggio: Consuelo Catucci. Scenografia: Francesco Frigeri. Suono: Adriana Di Lorenzo. Costumi: Grazia Ermelinda Materia. Interpreti: Riccardo Scamarcio, Laura Chiatti, Maria Pia Calzone, Michele Placido, Antonella Attili, Michele Venitucci, Luciana Littizzetto, Grazia Daddario, Angela Semerano, Eva Riccobono, Uccio De Santis, Eugenio Franceschini, Dario Bandiera, Beppe Convertini, Enzo Salvi, Ivana Lotito, Antonio Gerardi, Dino Abbrescia, Alessandra Amoroso.

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 [NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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