Stefano Simone tra Fuoco e fumo

Dopo l’introspettivo e maturo Gli scacchi della vita, Stefano Simone ha appena finito di girare un nuovo film e ancora una volta sembra volersi dedicare a tematiche vicine al cinema d’autore. Simone usa il genere, certo, ma non fine a se stesso, come accadeva nei primi film (si pensi allo splatter-gore di Cappuccetto Rosso), quanto per dire altro. In questo caso affronta la tematica del bullismo. Abbiamo incontrato Stefano Simone per porgli alcune domande.

Perché Fuoco e fumo? Cosa significa questo titolo?

Il titolo del film nasce da una frase di Disraeli in cui si afferma che “il coraggio è fuoco e il bullismo è fumo”. A questa frase è direttamente collegata un’altra di T. Merton in cui si dice che “è il fuoco che ci riscalda e non il suo fumo”.      

Un film contro il bullismo, dunque, per stigmatizzare un fenomeno inquietante…         

Nel corso del film le negatività del bullismo vengono messe in risalto in tutti i modi e con intensità crescente, insistendo volutamente sul ripugnante comportamento dei bulli, sulla loro assoluta nullità umana e mentale.        

Da quale angolo visuale affronti il problema?                             

Il film si propone di esaminare il bullismo sotto varie angolazioni, rinunciando però volontariamente a toccare anche il tasto del cyber bullismo. Ciò soprattutto per un discorso prettamente visivo e d’impatto sullo spettatore, oltre al fatto che trattasi di una particolare deviazione sviluppatasi negli ultimi anni e che, pur manifestandosi in forma diversa, ha le stesse origini umane e psicologiche di quello classico e determina le identiche situazioni.     

Resta da capire come hai tradotto in immagini un tema così complesso. Il rischio potrebbe essere quello di cadere nel didascalico. Come hai evitato l’insidia?                                               

L’esame del fenomeno scaturisce dalle considerazioni fra i ragazzi, dai loro discorsi e da quelli del personale scolastico ed emergono altresì le conseguenze psicologiche che esso può determinare su chi lo subisce. Si pone moltissima attenzione al ruolo che può avere la scuola, facendo intuire la sua funzione sociale nella formazione culturale e umana dei ragazzi. D’altro canto spicca la pochezza mentale dei bulli, la cui unica forza scaturisce dall’appartenenza al branco e si evidenzia in modo crudo la loro totale mancanza di ogni riferimento sociale ed umano. Anche il loro linguaggio, oltre che volgare, appare volutamente povero e quindi proporzionato alla miseria mentale dei bulli stessi.

Bullismo come forma di razzismo?

Sì, cerco di mettere in evidenza come il bullismo rappresenti l’anticamera del razzismo più efferato, non solo nei confronti dei diversi ma anche di coloro che non la pensano allo stesso modo.  

Come si sviluppa il film?

La vicenda si sviluppa alternando momenti tipicamente noir ad altri stile storia di formazione, pertanto nel film si noterà più di uno stile anche se, per come si conclude la storia, l’elemento thriller è quello più evidente. Il finale, per quanto positivo, sarà aperto e lascerà un po’ di amaro in bocca allo spettatore.

Sei soddisfatto del tuo ultimo lavoro?

Credo che questo film, a prescindere da come verrà accolto, sia la cosiddetta “opera della maturità”. Lavorare con tutti questi ragazzi mi ha dato non solo molti stimoli, ma mi ha permesso di esplorare cose di questo mestiere che fino a questo momento ignoravo del tutto. Prima di tutto l’approccio alla direzione degli attori (tutti ragazzi dell’ITE Toniolo di Manfredonia senza alcuna esperienza in campo cinematografico): per la prima volta, credo davvero di aver sviluppato un senso della direzione degli interpreti che fino a questo momento non possedevo. Raccontando il mondo degli adolescenti ed essendo il film interpretato da adolescenti, ho chiesto loro di guidarmi appunto in un contesto che, per motivi anagrafici, conoscono meglio di me; soprattutto, ho voluto che non recitassero, ma che fossero loro stessi e che si limitassero ad assimilare le caratteristiche dei personaggi che interpretavano, in modo da capire l’arco evolutivo nel corso della storia.

E lo stile di regia?

Anche da un punto di vista registico ho cercato il più possibile di adeguarmi agli attori e non il contrario. Lo stile è improntato al massimo realismo, diretto e crudo. Per la prima volta ho utilizzato interamente macchina a mano e focali molto lunghe, in modo da non essere invadente e, al tempo stesso, riprenderli nel loro quotidiano. Non ho segnato neanche posizioni, né davo direttive sui movimenti: era tutto molto libero. Se volevano cambiare posizione erano liberi di farlo, se volevano approcciarsi in maniera differente alla scena tra un ciak e l’altro, pure; ero io che seguivo loro. Addirittura nella scena della scorribanda notturna dei bulli neanche sapevo cosa avrebbero fatto mentre li filmavo.

Hai un regista di riferimento?

Devo molto a Stefano Sollima, un regista che apprezzo molto per stile e direzione di attori. Il suo noir metropolitano mi condiziona parecchio.

Il film si rivolge a un particolare pubblico?

Il film si svolge al sud ma la storia ha un respiro molto ampio; le dinamiche e gli episodi rappresentati possono succedere ovunque e sono comprensibili per chiunque. La lavorazione è stata davvero bellissima e come esperienza è stata davvero formativa per me, soprattutto da un punto di vista umano.

Siamo molto curiosi di vedere l’ultima opera di Stefano Simone, che tra l’altro ha già in cantiere un lavoro completamente diverso, un documentario letterario a me piuttosto caro, a partire dal titolo: Il cielo sopra Piombino. Dal noir alla poesia per immagini.

©Futuro Europa® Le immagini utilizzate sono tratte da Internet e valutate di pubblico dominio: per segnalarne l’eventuale uso improprio scrivere alla Redazione

 [NdR – L’autore dell’articolo ha un suo blog “La Cineteca di Caino”]

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