Turchia e Russia

Gli ultimi sanguinosi attentati in Turchia, opera questa volta non dei soliti curdi, ma dell’ISIS, impongono alcune riflessioni. La prima è che il Paese è a grande maggioranza sunnita e quindi dovrebbe essere fuori della guerra che i sunniti, specie siriani e iracheni, conducono contro gli sciiti sostenuti dall’Iran. La seconda è che neppure un regime autoritario, come quello di Erdogan, con un imponente apparato militare e pochi scrupoli, può controllare tutto il proprio (vasto) territorio. La terza è che tutta quella regione è ad alto rischio e bisognerebbe scoraggiare i tanti turisti che continuino ad affluirvi.

Gli attentati sono stati, grosso modo, ricondotti a due motivazioni principali: l’odio per società musulmane a impronta “laica” e “democratica”, come si verifica ad esempio contro la Tunisia; e la vendetta per la brusca svolta di Ankara nella politica mediorientale. Su  queste colonne abbiamo scritto più volte che la Turchia, di fronte all’ISIS, aveva mantenuto un atteggiamento ambiguo, se non di sotterraneo appoggio, lasciando passare liberamente i guerriglieri della jhad diretti in Siria. A un certo punto, però, Erdogan ha cambiato linea. Ora truppe turche sono in Siria, anche se non è chiaro se siano impegnate in combattimenti. Il cambio più vistoso si è poi verificato nell’asse stretto con Iran e Russia. Era un accordo che pareva naturale, dato che i tre paesi condividono un nemico comune. Per molto tempo, è stato impossibile raggiungerlo perché la Turchia si opponeva agli altri due per il loro appoggio ad Assad. Ora questo è cambiato, in apparenza i tre si sono impegnati a trovare una “soluzione politica” al problema siriano.

Personalmente, dubito molto che Putin possa o voglia abbandonare il suo alleato, che ha aperto alla Russia la base navale a Latakia, cioè nel Mediterraneo (una cosa senza precedenti nella Storia), per cui credo che nessuna “soluzione politica” possa lasciarlo fuori. Intanto, l’importante è che Turchia, Russia, Iran, combattano insieme contro gli islamisti dell’ISIS e credo che la loro azione congiunta avrà altri frutti oltre la riconquista di Aleppo. Tanto più che gli Stati Uniti, con Trump, a mio avviso si sfileranno completamente dall’affare siriano. Sono movimenti che stanno cambiando in modo profondo lo scacchiere mediorientale, e siamo solo agli inizi.

Naturalmente la nuova politica turca pone un problema serio sia alla NATO, di cui la Turchia è un membro chiave, sia, anche se in grado minore, all’Unione Europea. Che intanto potrebbe smetterla di fare gesti ostili ad  Ankara, in nome del rispetto dei diritti dell’uomo. Non capiamo che i paesi laici sono (siamo) sotto attacco e che una efficace difesa può comportare anche qualche violazione dei diritti individuali quali l’Occidente li concepisce e li pratica? Vogliamo consegnare la Turchia alla Russia? Non c’è nessuno, a Bruxelles e nelle principali capitali europee, capace di fare un po’ di “realpolitik”? Perché difendere i propri ideali va bene, ma ogni governo ha innanzitutto il dovere di difendere la sicurezza del suo territorio e dei suoi cittadini, costi quello che costi.

Va detto, ad onor del vero, che il governo italiano ha sempre avuto nei confronti del problema siriano, della Turchia  e dei rapporti con Putin, una linea ragionevole sin dai tempi di Berlusconi, di cui non si può negare il “fiuto” anticipatore e il realismo politico. Speriamo che questa linea prevalga anche a Parigi (come promette il candidato della destra, Fillon) e vi si adeguino i tedeschi (di Londra non parlo: di fatto si è tagliata fuori dal concerto europeo e non penso proprio che possa fare, senza una totale adesione a quella che sarà la politica di Trump, nulla di serio).

Realismo sul quale è molto, molto probabile, che ci ritroviamo dallo stesso lato di Washington,  che,nel  bene e nel male,continuerà a dirigere la politica occidentale.

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