Trump e la libertà di stampa
Uno dei tanti fronti aperti da Donald Trump, già da Presidente in carica, è contro la stampa. Non solo l’ha definita menzognera, ma ha accusato i giornalisti di essere “le persone più disoneste del mondo”. A nessun uomo politico fanno piacere le critiche, questo va da sé. Ma la tempra di un uomo di Stato e il suo attaccamento alla democrazia e alla libertà si dimostrano anche dal modo con cui sa accettarle, eventualmente rispondendo nel merito, ma senza entrare in una campagna personale di squalificazione.
I regimi autoritari risolvono il problema abolendo la libertà di stampa e riducendo gli organi di informazione a semplici e squallidi portavoce dei rispettivi governi. Ciò accade ancora adesso in Venezuela e altrove, ma è ovviamente impensabile in America, dove ogni tentativo di censura provocherebbe reazioni furibonde da parte dell’opinione pubblica e Trump lo sa bene. Altri Presidenti, anche grandi, hanno cercato mezzi leciti per ottenere il favore della stampa o, in gravi casi di sicurezza nazionale, per silenziare o ritardare la pubblicazione di certe notizie. Ma, nell’insieme, la stampa è sempre stata, nei paesi democratici, libera.
È inutile dire che, anche se talvolta vanno deplorati gli eccessi e le falsità smaccate in cui certi organi di opinione incorrono (basti pensare a quelli che fanno capo alla famiglia Berlusconi), va da sé che questa libertà resta uno dei pilastri fondamentali di un sistema democratico. Piaccia o no, una stampa libera rappresenta spesso l’unica vera voce di opposizione e di critica a un regime e, nelle sue migliori tradizioni investigative (specie anglosassoni), anticipa e in certi casi provoca o sostituisce l’azione della Giustizia.
In questo contesto, aprire una guerriglia permanente contro di essa è, non soltanto incivile, ma stupido e alla lunga suicida. Quelli che ci hanno sistematicamente provato hanno finito presto o tardi per pagarlo, perché la stampa, se non è imbavagliata per legge, ha sempre l’ultima parola. Non dimentichiamo che, decenni fa, furono due giornalisti del Washington Post a far cadere Nixon. Nell’Argentina del dodicennio kirchnerista, la guerra aperta dal governo contro la stampa d’opposizione, soprattutto contro il potente Clarin, è finita malissimo. È stato soprattutto un giornalista e presentatore televisivo di Clarin, Jorge Lanata, che ha denunciato dal 2013 i più grossi scandali di corruzione del regime, a contribuire alla sua sconfitta elettorale.
Se Trump si ostinerà su questa linea, la sua presidenza sarà ancora più controversa e difficile del previsto. Non va esagerato naturalmente il potere della stampa come formatrice dell’opinione (ma il risultato delle presidenziali americane non ne costituisce una smentita, giacché Hillary Clinton ha vinto per oltre tre milioni il voto popolare e solo le stranezze di un sistema elettorale arcaico fanno sì che alla Casa Bianca sia andato il suo avversario). Ma certamente può rendere la vita molto ingrata a qualsiasi politico, specie se sviluppa le sue capacità investigative su fianchi vulnerabili, che a Trump non mancano proprio.
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